Festa delle donne alle calende di Marzo
Nell’antico calendario di Romolo il primo giorno di Marzo rappresentava il Capodanno di Roma. In onore di suo padre, il dio Marte, il fondatore di Roma chiamò “Martius” il mese che apriva il nuovo anno. Eppure nel calendario romuleo il primo di Marzo era dedicato a Giunone Lucina, dea madre invocata dalle donne sposate e dalle partorienti, anziché essere dedicato a Marte che rappresentava la virilità e la forza procreativa maschile.
Matronalia venivano chiamate le usanze religiose che si tenevano alle calende di marzo in onore di Giunone, divinità che le matronae di Roma veneravano come fonte di vita e di luce, e che per questo chiamavano Lucina (appellativo che deriva dal latino lux, lucis , ovvero luce).
I Matronalia hanno origini molto antiche e risultano attestati a Roma almeno dal 375 a.C., anno in cui Plinio cita un tempio sull’Esquilino dedicato proprio a Giunone Lucina.
Il primo marzo era dunque una festa riservata alle donne, e non agli uomini come ci si potrebbe aspettare, e questo fatto dovette creare un certo imbarazzo se il poeta Ovidio, nella sua opera I Fasti, così si rivolge al dio marte: “Dimmi perchè ti festeggiano le matrone, mentre tu sei connesso alle attività virili?” (v. Fasti, III, 169).
Per giustificare il legame tra il Capodanno di Roma e le attività muliebri, Ovidio arriva a pensare che forse le matronae di Roma, onorando Giunone lucina, onorino indirettamente anche il figlio Marte, e ipotizza che i Matronalia siano festeggiamento per commemorare la pace stretta tra Romani e Sabini, pace avvenuta grazie all’intermediazione delle donne rapite.
Nel tentativo di trovare a tutti i costi una spiegazione logica a queste feste al femminile del primo marzo, il poeta prova anche a collegare la rinascita primaverile alla fertilità delle donne latine, e lo fa scrivendo dei bellissimi versi: “agli alberi tornano le foglie distaccate dal freddo e le gemme si gonfiano di linfa sul tenero tralcio … con ragione le madri latine per cui è voto e milizia il parto, onorano questa stagione feconda” (Fasti, III, 236-244).
Sappiamo come si svolgevano i festeggiamenti alle calende di Marzo: le matronae di Roma invocavano Giunone Lucina per chiederle assistenza e protezione nel difficile momento del parto e si rivolgevano poi a tutte le altre donne devote alla dea, invitandole ad intrecciare erbe e fiori con cui comporre corone e cingersi il capo. Scrive a questo proposito Ovidio: – Recate fiori alla Dea! Questa dea si compiace di erbe fiorite; incoronate il capo di teneri fiori! E dite: – O Lucina, tu ci hai dato la luce!’ E dite: – Tu sei propizia al voto delle partorienti! Se qualcuna è ancor gravida, con la chioma disciolta preghi la dea per un parto senza dolore… (Fasti, III, 253 – 258).
Dal terzo Libro dei Fasti sappiamo dunque che le spose latine, in procinto di partorire, scioglievano i capelli per farli fluire liberamente e pregavano Giunone Lucina di dare alla luce il neonato senza dolore (v. Fasti, III, 257-258).
Il difficile momento del parto era molto temuto poiché metteva in pericolo la vita della donna e quella del nascituro, e per questo le donne usavano sciogliere i propri capelli. Un gesto simbolico che assumeva il valore magico e propiziatorio di un voto, volto ad assicurare l’ esito favorevole del parto sia per la madre che per il neonato.
In tal senso, io credo, andrebbe interpretata anche quell’antica consuetudine che vietava alle donne di entrare nel tempio di Giunone Lucina con qualcosa di annodato addosso.
Nella sua opera Ovidio fa infine parlare Marte, nel tentativo di chiudere una volta per tutte l’imbarazzante questione dei festeggiamenti al femminile che si svolgono nel mese connesso alle attività virili. Ecco come il dio risponde alla domanda posta dal poeta: “Ciò che chiedi appare evidente ai tuoi occhi. Mia madre ama le spose, la folla delle madri celebra la mia festa” (Fasti, III, 250-251).
Un altro aspetto curioso dei Matronalia è che il primo di Marzo le ricche matrone romane usavano servire a tavola le umili schiave. Si tratterebbe di un’usanza insolita e bizzarra, ma non esclusiva: il rovesciamento dei ruoli sociali avveniva infatti anche in occasione di altre feste nel calendario religioso di Roma antica, come durante i Saturnalia, che si svolgevano nel mese di Dicembre.
C’è chi pensa che tale consuetudine rappresentasse un rituale di rottura dell’ordine sociale. L’ occasionale ribaltamento dei ruoli per un giorno, doveva infatti servire a rafforzare e mantenere lo status quo tra le classi sociali per tutto il resto dell’anno. In altre parole, servire a tavola le proprie schiave alle calende di Marzo, nel giorno del Capodanno romano, costituiva per le matrone un rituale occasionale di trasgressione della norma, in funzione del mantenimento del proprio ruolo di preminenza sociale.
Lo scambio delle parti in occasione dei Matronalia serviva insomma a ribadire con ancor più forza la rigida struttura classista della società romana.
Antonella Bazzoli – 1 marzo 2010 (aggiornato il 1 marzo 2023)
Da leggere:
Ovidio, I Fasti, ed. BUR, 2006
Dario Sabbatucci, La religione di Roma antica, ed. SEAM, 1988