A piedi verso il tempio dell’Angelo
L’ itinerario che oggi vi propongo a Perugia si snoda lungo il caratteristico borgo medievale di Porta Sant’Angelo, prendendo avvio da piazza Grimana, area in cui si erge l’imponente Arco di Augusto, ovvero l’entrata settentrionale della cinta muraria di età etrusco romana.
Percorrendo in salita la via che esce dalla porta etrusca ci dirigeremo verso nord, lungo l’impoirtante tracciato che anticamente coincideva con la via Amerina.
La strada è oggi intitolata a Garibaldi, ma nei secoli passati era chiamata via Lungara. Si tratta di un percorso pressoché rettilineo, che sale in direzione nord, attraversando vicoli e piazzette i cui toponimi sono molto interessanti: via dei Tornitori, via dei Pellari, via della Cera, via dell’Oro, via della Spada, nomi che testimoniano la presenza di botteghe e corporazioni di artigiani che qui scelsero di insediarsi nei secoli del medioevo, vuoi anche per la presenza di molta acqua nel sottosuolo.
Lungo la via si susseguono gli insediamenti monastici, sia femminili che maschili, testimonianze della presenza di vari ordini cenobitici e mendicanti. Incontriamo per primo il convento degli Agostiniani, la cui chiesa risale alla metà del XIII secolo e conserva al proprio interno interessanti affreschi trecenteschi. Qui si trovava un tempo anche il monumentale polittico del Perugino e altre opere importanti, alcune delle quali conservate nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Sulla bellissima facciata a disegno geometrico si vede il doppio portale gotico, caratteristico delle chiese che erano meta di pellegrinaggio.
Varrebbe la pena visitare anche il vicino oratorio di Sant’Agostino, uno dei più interessanti esempi d’arte e architettura barocca di Perugia, che però è purtroppo quasi sempre chiuso al pubblico.
Ma torniamo al nostro itinerario a piedi, facendo attenzione anche ai dettagli più nascosti, per scoprire che sulle facciate di molte dimore private sono ancora visibili interessanti stemmi di famiglia e antichi simboli massonici, insieme a segni di devozione popolare e rilievi attestanti le proprietà della potente Corporazione dei Mercanti: grifi passanti su balle di lana.
Le proprietà del Capitolo della Cattedrale sono invece riconoscibili grazie ad un altro inconfondibile simbolo che rappresenta una piccola graticola stilizzata, a ricordare il martirio di san Lorenzo, santo patrono della città a cui il castello e il duomo erano intitolati già nell’alto medioevo.
Ci fermiamo al numero civico 104 per scoprire che l’edificio privato era un tempo la chiesa intitolata a San Cristoforo.
Poco più avanti si susseguono a ritmo serrato i monasteri femminili, da quello benedettino di Santa Caterina a quello domenicano della Beata Colomba da Rieti, fino alla comunità francescana delle Clarisse di sant’Agnese, dov’è ancora conservata un’opera autografa del Perugino, e a quella di Sant’Antonio da Padova, dove un tempo risiedevano le monache che commissionarono a Piero della Francesca il fsuo amosissimo polittico oggi esposto in Galleria.
Ma il vero gioiello architettonico del quartiere settentrionale di Perugia è il tempio paleocristiano a pianta circolare dedicato all’arcangelo Michele, un edificio realizzato con materiali di spoglio di età romana lungo la via che attraversava il “corridoio bizantino”, come veniva chiamata la striscia di territorio controllata dalle truppe dell’Impero d’Oriente per garantire i collegamenti tra Roma e Ravenna nel tormentato periodo delle invasioni longobarde.
Siamo nell’alto medioevo e il culto per l’arcangelo Michele, il principe degli eserciti celesti, si è ormai diffuso a macchia d’olio tra le fila dei soldati bizantini come pure tra le truppe longobarde.
La devozione per l’arcangelo guerriero si era diffusa velocemente, in Oriente prima e in Occidente poi, a partire dal V secolo.
Il Sant’Angelo Michele cominciò ben presto ad essere venerato non solo come protettore degli eserciti in battaglia, ma anche come psicopompo , letteralmente “pesatore delle anime”, e come psicagogo, l’accompagnatore delle anime a Dio dopo la morte terrena.
Lo straordinario esempio di architettura paleocristiana che si apre di fronte a noi, una volta raggiunta la via del Tempio, si presenta con la sua caratteristica pianta circolare e con il tamburo centrale sopraelevato.
Questa particolare copertura “a tenda” ha fatto meritare all’edificio il leggendario nome di “padiglione d’Orlando”. Secondo una fantasiosa leggenda, infatti, da Perugia sarebbero passati i prodi paladini di Francia, e il valoroso Orlando sarebbe giunto fin qui in soccorso del suo amico Olivieri, fatto prigioniero da un tiranno di Perugia. Orlando – narra la leggenda – si sarebbe accampato con la propria tenda nel luogo in cui sarebbe sorta in seguito la chiesa dedicata all’arcangelo. Sarebbe stato infatti l’intervento miracoloso di san Michele a permettere al paladino di giungere in tempo per liberare Olivieri.
La vicenda costruttiva del santuario micaelico è in realtà un po’ diversa, e a chi volesse approfondirla consiglio di collegarsi al link di una mia approfondita ricerca epigrafica e architettonica (in fondo alla pagina) dedicata al santuario micaelico e al simbolismo che si nasconde dietro la sua geometria sacra.
L’edificio sorge in corrispondenza di un sito archeologico, già attestato come necropoli, etrusca prima e romana poi. Interessante è notare come il luogo abbia mantenuto attraverso i secoli la sua funzione cimiteriale, nonostante il cambiamento nella destinazione d’uso. La chiesa cristiana intitolata all’arcangelo si lega infatti fortemente al salvifico passaggio dalla morte terrena alla rinascita nell’aldilà, come attestano anche le varie lapidi sepolcrali, conservate ancora oggi sul pavimento del deambulatorio, e incise con simboli e stemmi dai quali possiamo dedurre l’estrazione sociale dei defunti (per lo più artigiani e membri di corporazioni di arti e mestieri).
Tra questi simboli colpisce uno, in particolare, formato da una stella a cinque punte iscritta in un cerchio. Si tratta di un pentagramma, simbolo già noto ai seguaci di Pitagora ,per i quali rappresentava l’armonia tra corpo e anima. Nota anche come “pentacolo di Salomone” , la stella a cinque punte era ritenuta magica poiché in grado di allontanare influenze negative e demoni maligni. Le sue proporzioni contengono il segreto matematico della sezione aurea, ben noto agli architetti e agli scalpellini che nel medioevo lavoravano alla costruzione di chiese e cattedrali. Il simbolo rappresenta inoltre la magia della creazione e l’armonia del cosmo, come si evince dalla punta rivolta verso l’alto che si aggiunge, come “quintessenza spirituale”, ai tradizionali quattro elementi terreni di aria, acqua, terra e fuoco. La punta superiore del pentagramma rappresenterebbe dunque la forza eterica dello spirito che presiede sui quattro elementi della materia.
All’interno del tempio perugino colpisce la bellezza delle sedici colonne di spoglio, alcune in marmo e altre in granito, dotate di basi, capitelli e pulvini che l’architetto medievale recuperò da antichi preesistenti edifici, e che dispose ad anello per delimitare le due navate concentriche tra il deambulatorio e il vano centrale.
Ci troviamo improvvisamente all’interno di un disegno di “geometria sacra” che nasconde sorprendenti significati simbolici, per l’approfondimento dei quali rimando ancora una volta alla lettura del link in fondo alla pagina.
Le otto colonne di colore grigio (sei in granito e due in marmo proconnesio) sono disposte rispettivamente a nord, sud, est ed ovest, mentre le restanti otto colonne, abbinate a due a due per materiale e dimensioni in marmi policromi, greco, nero venato e cipollino, sono pure perfettamente orientate secondo i punti cardinali a nordest, a sudest, a nordovest e a sudovest.
Se ci spostiamo al centro del tempio, sembra quasi di essere all’interno di un mandala simbolico: la disposizione delle otto coppie di colonne è come una rosa dei venti dove ciascuna coppia di sostegni sembra indicare la direzione da seguire, invitando quasi ad attraversare le otto direzioni dello spazio circolare.
Alcuni dei capitelli del tempio, realizzati verosimilmente da artigiani vissuti in età adrianea (II secolo), sono particolarmente interessanti per la presenza di misteriose iscrizioni a lettere greche (due per capitello, per un totale di otto sigle disposte su quattro colonne), la cui analisi epigrafica è stata da me effettuata, con l’aiuto del professor Attilio Bartoli langeli, e pubblicata nel Bollettino di Deputazione di Storia Patria per l’Umbria (vedi link sottostante). L’indagine sembra dimostrare che si tratti di sigle paleocristiane, il cui simbolismo numerico farebbe riferimento al nome di Gesù e al messaggio escatologico e salvifico della sua resurrezione.
Antonella Bazzoli – 15 agosto 2011 – aggiornato il 20 aprile 2022
Per approfondimenti: