“Ver sacrum” sul sarcofago etrusco?
Oggi vi voglio accompagnare nel museo archeologico nazionale di Perugia per ammirare uno dei reperti più affascinanti della sua collezione etrusca: il Sarcofago dello Sperandio.Si tratta di un cassone in pietra fetida, tipica pietra calcarea dell’area chiusina. Il nome Sperandio gli deriva dalla via in cui si trovava la necropoli etrusca in cui il sarcofago fu rinvenuto nel 1843.
La tomba risale all’età arcaica e al suo interno fu trovato un corredo costituito da armi in ferro, collocato accanto ai resti del defunto.
Ciò ha fatto ipotizzare che il personaggio inumato fosse un guerriero d’alto rango vissuto intorno al V secolo a.C. , forse uno di quei “principi guerrieri” che si erano stabiliti nell’Etruria interna arricchendosi attraverso l’arte della guerra.
Secondo gli archeologi il sarcofago sarebbe stato fabbricato in una bottega chiusina e solo successivamente sarebbe stato trasportato a Perugia.
Forse il committente, originario di Chiusi, si trasferì a Perugia portando con sè i propri averi, compreso il prezioso sarcofago che un giorno avrebbe ospitato i suoi resti mortali consentendogli di affrontare l’ultimo viaggio nell’aldilà.
Trasportare un manufatto in pietra così pesante e non someggiabile fu certamente un’impresa difficile, soprattutto se si considera che l’antico tracciato da Chiusi a Perugia era caratterizzato da fiumi che potevano essere attraversati solo con ponti e traghetti. Tuttavia sappiamo che nel VI-V secolo a.C. gli spostamenti tra le due importanti città dell’Etruria interna erano piuttosto frequenti, se non addirittura abituali.
Osserviamo ora il sarcofago da vicino e notiamo per prima cosa che esso poggia su quattro eleganti zampe a forma leonina.
Ammirando la qualità dei rilievi scolpiti sul manufatto, rimaniamo colpiti dalla grande abilità degli artigiani chiusini del 500 a.C.
Stupisce in particolare la resa delle figure a rilievo, arditamente sovrapposte su diversi piani con l’intento di creare un effetto realistico e dinamico. Il risultato è un corteo che nell’insieme appare movimentato e persino prospettico.
Il reperto è talmente ben conservato che si vedono ancora distintamente tracce del suo colore originale, in particolare il rosso evidente soprattutto nelle due scene laterali in cui è rappresentato il tipico banchetto etrusco.
Nelle due scene del simposio vediamo tre personaggi etruschi distesi su un letto triclinare (kline a più posti). Il gomito sinistro dei simposianti è comodamente poggiato su un cuscino che appare ripiegato fra il corpo ed il braccio. Con un gesto intimo ed amichevole, l’uomo al centro della scena poggia la mano destra sulla spalla del compagno che gli è davanti. Quest’ultimo, a sua volta, regge con la destra una kilix (tipica coppa da vino in ceramica) nel tipico atteggiamento di chi sta partecipando al gioco del kottabos.
Il terzo personaggio sdraiato sul kline è un musico intento a suonare la lira. Ai piedi del letto, accanto a un vaso e al tipico cratere che conteneva il vino, un ragazzo nudo serve il banchetto.
La scena sembra puramente conviviale, ma in realtà sappiamo che il banchetto etrusco era un rito dal valore altamente spirituale, una consuetudine strettamente connessa alla religione e al culto dei morti.
Potrebbe sembrare strano che tra i simposianti raffigurati sui fianchi del sarcofago non vi siano donne, dal momento che nella società etrusca anche loro potevano partecipare al simposio. Tuttavia è solo a partire dal 500 a.C. che le scene di banchetto rinvenute nelle tombe etrusche mostrano donne tra i partecipanti al simposio. Una cosa comunque è certa: la scena del banchetto serviva ad ostentare l’elevato status sociale del proprietario del cassone.
Soffermiamoci ora sulla scena rappresentata sul lato più lungo del sarcofago.
E’ senza dubbio la scena più interessante ma anche la più enigmatica.
Vi è raffigurato un corteo, animato dalla presenza di uomini, donne ed animali, che procede ordinatamente e pacatamente da sinistra verso destra.
Alla testa del gruppo sfila un giovane sbarbato che tiene in mano un bastone ed ha una fune legata intorno al collo. Alla stessa corda sono legati anche i tre uomini dalla lunga barba che procedono dietro di lui. Si tratta probabilmente di prigionieri, forse di schiavi, oppure di ostaggi di rango catturati in battaglia per ottenere un riscatto. A confermare il loro status di prigionieri contribuisce il particolare taglio di capelli che li caratterizza: una sorta di caschetto un po’ rozzo, assai diverso dal taglio più moderno e raffinato che caratterizza gli altri personaggi di stirpe etrusca che affollano il corteo: uomini giovani e accuramente rasati, la cui tipica pettinatura “alla greca” lascia scoperte le orecchie.
Se si fa eccezione per la donna e il giovane con le braccia alzate che sfilano al centro della scena, notiamo che tutti gli altri personaggi maschili impugnano armi tra cui aste appuntite, lance e bastoni.
Vi è anche una figura centrale che si distingue dalle altre perchè ha in mano un lituo, tipica insegna sacerdotale dell’augure etrusco, ed una machaira, sciabola dalla forma ricurva in uso dal VI secolo a.C..
Il corteo è evidentemente in viaggio ed è animato non solo da uomini ma anche da animali domestici, tra cui buoi, capre, cavalli da soma, un cane con collare e capretti appena nati trasportati in spalla dai prigionieri.
Ed è stato proprio quest’ultimo particolare che mi ha fatto intuire a quale stagione faccia riferimento la scena: dato che è in primavera che nascono i capretti e gli agnelli, dopo circa cinque mesi di gestazione, è questa la stagione in cui il corteo si è messo in viaggio! La presenza dei capretti appena nati, dunque, confermerebbe la mia ipotesi di una migrazione ambientata nella stagione primaverile !
Tale dettaglio mi ha indotta ad ipotizzare che la scena del corteo possa rappresentare un ver sacrum, ovvero una “primavera sacra”, antichissima consuetudine di tipo rituale attestata tra i popoli italici, che prendeva il via per ovvie ragioni climatiche alla fine del rigido inverno.
Sappiamo che tale tradizione rituale consisteva nella migrazione di una parte dei membri di uno stesso gruppo sociale che per voto agli dei si distaccavano volontariamente dalla comunità di appartenenza, allo scopo di garantirne la sopravvivenza. Il ver sacrum si svolgeva infatti solitamente in caso di sovrappopolazione, oppure in seguito ad eventi catastrofici naturali, come le carestie, che mettevano a rischio la sopravvivenza dell’intera comunità.
L’affollato e dettagliato corteo scolpito sul fronte del sarcofago dello Sperandio potrebbe quindi rappresentare quel voto pubblico che veniva fatto agli dei, e che consisteva nel consacrare tutti i nati in primavera, uomini, vegetali ed animali, alla divinità. Il sacrificio prevedeva che i neonati in primavera non appartenessero più alla comunità e che una volta cresciuti venissero allontanati dai confini della patria, per affrontare quel viaggio rituale che li avrebbe portati alla conquista di nuovi territori in cui insediarsi e fondare città. Scopo del viaggio migratorio era infatti anche colonizzare nuove terre in cui fermarsi stabilmente.
A guidare il gruppo in viaggio vi era solitamente un animale sacro alla divinità, che poteva essere un bue, un lupo o un uccello, che il gruppo seguiva credendo che i suoi movimenti interpretassero il volere divino.
Testimonianza di questa migrazione rituale è riportata anche da Plinio il Vecchio che riferisce come un gruppo di Sabini, partiti dal paese nativo per voto di una primavera sacra, sarebbe giunto nella regione picena. Secondo il mito di fondazione a guidare il gruppo sarebbe stato un picchio (picus, animale sacro al dio Marte) da cui appunto il nome Piceni.
Mi sembra interessante, a questo proposito, notare che i personaggi raffigurati sul cassone di Perugia hanno tutti un aspetto giovane, se si fa eccezione per i prigionieri le cui lunghe barbe a punta evidenziano forse un’età più matura. E soprattutto mi sembra interessante notare lungo il corteo, la presenza di vegetali e di animali che potrebbero avere una valenza sacra.
Pur non escludendo che il committente del cassone abbia voluto ricordare l’avvenuta migrazione di un gruppo gentilizio da Chiusi verso Perugia, forse riferibile all’età di Porsenna, ritengo tuttavia possibile che la scena del corteo possa riferirsi alla mitica migrazione di un gruppo etrusco in viaggio verso nuove colonie.
Come non pensare allora alla leggenda di fondazione delle città etrusche di Perugia, Bologna e Mantova?
Servio riferisce che Ocno sarebbe partito da Perugia per evitare di litigare con il padre (o fratello?) Auleste , intraprendendo un viaggio che lo avrebbe portato a fondare le nuove città etrusche di Felsina (Bologna) e di Mantua (Mantova).
Auleste (nome che nel corso del medioevo si trasformò in Euliste) è il mitico fondatore di Perugia che troviamo rappresentato anche sulla Fontana Maggiore del 1278, a dimostrazione che nel tardo medioevo il mito etrusco di fondazione non era stato ancora dimenticato dai perugini.
Il conditor Auleste fu dunque, attenendoci a quanto riferisce Servio, padre o fratello del giovane Ocno.
E se uno dei due mitici conditores etruschi (se non addirittura entrambi) fosse raffigurato sul sarcofago dello Sperandio?
Se così fosse Ocno, o forse Auleste, potrebbe essere uno dei due personaggi in secondo piano, con le braccia alzate, la cui postura del corpo si differenzia da quella degli altri.
Vediamo la figura-guida al centro del corteo, tra la donna e l’augure, proprio dietro il cavallo da soma. Notiamo dalla posizione dei suoi piedi che egli procede come gli altri in avanti, ma il suo busto è frontale, il collo è girato e la testa è rivolta indietro, facendo pensare a qualcuno che sta guidando il corteo affinchè sfili ordinatamente.
I suoi gesti e le sue braccia alzate sembrano infatti dare indicazioni al gruppo su come muoversi e su come procedere.
Un secondo personaggio-guida potrebbe essere il giovane che si trova rappresentato in secondo piano dietro la coppia di buoi, con il braccio destro alzato e il sinistro che sosiene una lancia. Testa e collo sono anche in questo caso completamente girati in posizione opposta rispetto ai piedi.
Anche lui sembrerebbe dare ordini e istruzioni a qualcuno che si trova in coda al corteo. Il suo sguardo e i suoi gesti sono rivolti indietro, verso il resto di un gruppo che in viaggio che possiamo solo immaginare dietro di lui.
Concludendo, ritengo che la scena frontale del sarcofago dello Sperandio possa rappresentare un mito etrusco dimenticato: un ver sacrum, un sacro viaggio rituale primaverile volto alla conquista di nuove terre, e guidato forse da conditores di stirpe etrusca.
Chissà? Forse la scena del sarcofago voleva celebrare il mito di Auleste, conditor di Perugia. O forse il mito del più giovane Ocno, migrato con un gruppo di uomini e animali in direzione della Valle Padana, verso le fertili terre in cui avrebbe fondato le città etrusche di Felsina e di Mantova…
Non mancano tuttavia altre ipotesi interpretative riguardo alla scena scolpita sul sarcofago dello Sperandio.
Alcuni archeologi ritengono infatti che i rilievi del cassone abbiano a che fare con l’identità culturale del personaggio etrusco che commissionò il sarcofago presso un bottega chiusina. C’è ad esempio chi ha ipotizzato che il corteo rappresenti la vittoria di un guerriero etrusco, forse identificabile con il defunto, e del suo gruppo di appartenenza su un popolo indigeno di origine italica. Le donne, gli animali e i prigionieri potrebbero in tal caso rappresentare il bottino di guerra del vincitore etrusco. Insomma una ricchezza da ostentare, un modo per mostrare il potere e lo status sociale raggiunti in vita dal “principe guerriero” proprietario del sarcofago.
C’è poi chi ha notato che i personaggi del corteo indossano abiti civili. Non si vedono scudi, né elmi o schinieri. Il bastone, la machaira, le aste e le lance sembrano strumenti dalla valenza simbolica più che armi usate in battaglia. Per questo si è anche ipotizzato che la scena rappresenti la chiusura della stagione bellica e la riapertura di quella civile.
Né si può escludere che la figura gerarchicamente più importante delle altre sia l’augure al centro della scena, ovvero il sacerdote etrusco che regge il lituo in una mano e la machaira nell’altra.
di Antonella Bazzoli (testi e foto), 18 marzo 2011