Da Ercole a San Michele, un culto legato alla transumanza
Con la diffusione del cristianesimo, Ercole, divinita’ prediletta dal mondo pastorale centro-meridionale, si trasformò nell’Arcangelo Michele, messaggero di Dio, guerriero e capo delle milizie celesti.
Si trattò di un processo strano (ma non insolito) di utilizzazione di una divinità pagana da parte della nuova religione, così come era già avvenuto in altri casi fin dal Cristianesimo primitivo (vd. Cristo-Orfeo).
Nonostante la diffidenza della chiesa delle origini nei confronti della venerazione degli Angeli e nonostante la mancanza di reliquie angeliche, in età tardo antica furono consacrati a San Michele Arcangelo molti luoghi di culto in diverse regioni ( Asia Minore, Egitto, Siria e Palestina) e, dal V secolo, in Italia e poi in Europa. Proprio al V secolo, infatti, risalirebbe una prima basilica in Italia dedicata al culto dell’Arcangelo lungo la via Salaria.
La sovrapposizione tra i due personaggi fu facile, favorita da affinità sia iconografiche (alla clava si sostituì la spada ed alla leontè il mantello) che mitologiche (Ercole uccideva i mostri, Michele il demonio). Nella devozione popolare infatti l’Arcangelo fu rappresentato come un giovane guerriero, uccisore del dragone, simbolo delle forze del male. In sostanza dunque anch’egli un eroe come l’Ercole precristiano.
La strettissima analogia iconografica che collega le due divinità dimostra come nella religiosità popolare italica, ma come vedremo soprattutto pugliese e abruzzese, il culto di Ercole si sia conservato pressochè intatto, semplicemente subentrando nella nuova religione e trasferendo sull’Arcangelo Michele gli attributi propri della divinità precedente.
I santuari più noti nel Medioevo furono quello garganico (pure V sec.), quello fondato sul monte Pirchiriano in Val di Susa, chiamato la Sacra di San Michele e quello normanno di Mont saint Michel.
Questi tre santuari , nati in collegamento con il fenomeno dei pellegrinaggi, presentano comuni elementi insediativi: la montagna e il paesaggio suggestivo.
Diverso fu invece il fenomeno di evoluzione e di irradiazione del culto del Santo in Italia centro meridionale ed in particolare in Abruzzo, dove giunse a partire dal V secolo dal santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano, grazie ai pastori che viaggiavano tra Puglia e Abruzzo sulle vie della transumanza.
Sappiamo che per transumanza si intende lo spostamento periodico del bestiame tra due o più pascoli che vengono sfruttati stagionalmente: nei mesi freddi quelli situati in pianura o a fondovalle, nei mesi estivi quelli montani.
La transumanza appenninica fu in uso fin dall’età del bronzo, ma in questa fase iniziale i pastori trasportavano le greggi dai pascoli dell’Appennino centrale a quelli posti lungo la costa, scegliendo però i territori protetti dalle alture prospicienti il mare (Martinsicuro, Tortoreto, Pescara, Francavilla). Questi insediamenti sembravano voler chiudere il territorio interno dell’Abruzzo e Molise dal mare e questo spiegherebbe per il Vagnetti (in “Magna
Grecia e mondo miceneo”) come mai queste zone sono rimaste lontane dalla frequentazione micenea.
Fu a partire dal V secolo che i percorsi si allargarono. La conquista di Capua da parte dei Sanniti permise loro di impossessarsi delle terre etrusche e greche in Campania, terre che furono lasciate ad agro pubblico e costituirono ottimi pascoli invernali. Ma la scelta dei Sanniti di sfruttare le terre conquistate a pascoli invernali per le proprie greggi, dovette costituire un motivo di scontento per gli agricoltori che vivevano in pianura, così che nascevano violente controversie tra agricoltori e pastori. I pastori infatti erano ben lontani dall’idea di mansuetudine che ci verrà tramandata dalle allegorie greche. Le guerre sannitiche furono dunque non solo uno scontro tra i popoli più potenti della penisola, ma anche uno scontro tra due diverse economie, quella dei pastori contro quella degli agricoltori.
Nel 315 Lucera è sottomessa dai Romani e ne diventa una colonia, ma Lucera rappresenterà anche la via terminale in Puglia dei tratturi che partivano dalle montagne abruzzesi ( Aquila- Foggia). Sono stati individuati i tratturi più percorsi dai pastori che diventarono anche veicolo di culti, credenze, leggende, cultura popolare. I tratturi principali partivano dall’Aquila, Celano e Pescasseroli. Il cosiddetto tratturo magno era quello che partiva dall’Aquila e giungeva fino a Foggia. Vi erano poi i “tratturelli”, percorsi più brevi che mettevano in comunicazione i tratturi principali o li collegavano a zone di pascolo di modesta estensione.
Era naturale quindi che, col diffondersi del Cristianesimo, la divinità pagana prediletta dai pastori conservasse il suo ruolo trasferendolo in quello di San Michele e che i primi santuari in Abruzzo dedicati all’Arcangelo sorgessero lungo i percorsi tratturali e, sull’esempio di quello del Gargano, venissero fondati nei pressi delle grotte. La grotta infatti rappresenta lo spazio cultuale che meglio sintetizza gli elementi sacrali primigeni e propiziatori che si legavano al culto di Ercole ed in generale alle forze soprannaturali: la roccia e l’acqua, simbolo l’una del contatto col mondo sotterraneo, l’altra di fertilità e purificazione.
In Abruzzo le grotte dedicate al culto di S. Michele Arcangelo sono decine, disseminate lungo tutta la dorsale appenninica. Questa grande diffusione potrebbe trovare una spiegazione proprio nella continuità con i riti pagani che si svolgevano in grotta.
Non a caso infatti il nuovo culto subentrò in molte grotte che la tradizione popolare già segnava come “sacre” perché legate a culti pagani precedenti.
Uno dei casi più noti è la Grotta S. Angelo di Ripe di Civitella del Tronto ( Teramo) dove tracce di sacrifici umani e di cannibalismo rituale documentano la persistenza ininterrotta per migliaia di anni delle funzioni religiose e rituali di tali ambienti.
San Michele a Liscia (Chieti), la cui grotta è meta di pellegrini che ripetono il rituale di toccare la roccia e di bere l’acqua di una sorgente ritenuta terapeutica.
La Grotta di Sant’Angelo Palombaro (Chieti) in cui si narra vi fosse un santuario dedicato alla dea Bona, nume tutelare della fertilità, presso il quale si recavano le puerpere per bagnare il seno con l’acqua sorgiva del luogo e favorire l’abbondanza di latte. Numerose vasche scavate all’interno della grotta confermerebbero questo rituale. Bona, insieme alla dea Maia e Pale, erano con Ercole i numi tutelari dell’agricoltura. In particolare Pale era forse un dio maschile che si presentava con caratteristiche simili ad Ercole.
L’Eremo di San Michele, patrono di Bominaco (Aquila), è adagiato sul fianco del massiccio del Gran Sasso, dove i pastori, prima di partire per la transumanza verso il tavoliere delle Puglie, ricevevano la benedizione.
La Grotta di Sant’Angelo in Balsorano (Aquila), è visibile oltre una cancellata di ferro con le cappelle di S. Angelo e quella della Madonna con la Scala Santa.
La chiesa di S. Michele Arcangelo a Vittoritto (Aquila), fu costruita sui resti di un tempio pagano di età imperiale (I-II sec. d.C.) che purtroppo non è attribuibile ad una precisa divinità pagana per mancanza di indizi: sono assenti reperti, né sono tramandati ricordi relativi a riti pagani, tranne una sorgente sulfurea ai piedi del santuario.
Ma per quale motivo questa continuità religiosa si sarebbe realizzata per la prima volta proprio in prossimità della grotta di San Michele Arcangelo sul Gargano?
Sappiamo che la regione garganica dovette apparire fin dall’antichità, per la sua natura rupestre, boscosa e selvaggia un luogo misterioso tale da favorire la nascita di una serie di miti fin dall’epoca della colonizzazione greca.
Vi erano diffusi i culti di Diomede, Giove, Mitra, dell’indovino Calcante e del medico Podalirio, figlio di Asclepio.
Era presente inoltre un’acqua ritenuta terapeutica ed il rito dell’”incubatio”, già praticato presso il santuario di Asclepio ad Epidauro, che consisteva nel dormire una notte in un luogo sacro avvolto in pelle di animali in attesa di ricevere al mattino i responsi della divinità (rituale attestato anche nel culto medico- divinatorio di Podalirio e Calcante).
La storia dell’Angelo invece è stata ricostruita sulla base del “ Liber de apparizione Sancti Michelis in monte Gargano”, una raccolta di eventi miracolistici. Si racconta di tre episodi: quello del toro, della battaglia e della consacrazione della basilica fatta dall’Angelo, ma soprattutto si insiste sulle doti taumaturgiche presenti nell’acqua che sgorgava all’interno dell’antro.
Tuttavia è il primo episodio quello più significativo per il nostro studio.
Si racconta di Gargano, un ricco pastore che dà il nome al monte, il quale, rientrando col gregge all’ovile, si accorge della mancanza di un toro. Si mette allora alla ricerca dell’animale coi suoi servi e lo trova nei pressi di una grotta. Gargano, irato, gli scaglia contro una freccia avvelenata che però si ritorce contro di lui. Gli abitanti del luogo, stupiti dalla stranezza della cosa e invitati dal vescovo, digiunano per tre giorni e successivamente hanno l’apparizione dell’Arcangelo che così dimostrerà di essere il patrono del luogo.
Interessante è in questa narrazione l’emergere della personalità di Gargano, un pastore forte, rissoso, quasi una divinità pagana simile ad Ercole, che prepara l’epifania dell’Angelo da cui verrà vinto, come pure è evidente la somiglianza tra la narrazione del Liber relativa a Gargano e due episodi relativi ad Ercole: quello che lo vede alla ricerca della mandria rubata, riportato nell’ VIII libro dell’Eneide, e quello narrato da Apollodoro che lo vede alla ricerca di un toro che, tuffatosi in mare, si allontana da Reggio e raggiunge la Sicilia dove il semidio lo ritroverà fra gli armenti di Erice, figlio di Poseidone.
Simile resta comunque il contesto ambientale: la vetta del monte, la vastità dell’antro, il ricco armento, la ricerca degli animali.
Una spiegazione potrebbe insistere sull’antichità del mito di Gargano: era un dio o semidio, pregreco, un gigante, il cui culto era diffuso nel bacino del Mediterraneo e nelle regioni occidentali della Francia, il cui nome passò alla montagna e le cui caratteristiche si incarnarono in Ercole (gar: inghiottitoio di acqua, gola in indoeuropeo).
In definitiva l’antica divinità, simile ad Ercole, personificazione della montagna pugliese, avrebbe proiettato la sua mole e la sua forza in quella di un pastore dallo stesso nome che ha fatto quindi propri i caratteri dell’eroe greco.
La costruzione del santuario pugliese risalirebbe a Papa Gelasio ( V sec.) e dal VII secolo sarebbe stato considerato il santuario nazionale dei Longobardi i quali furono particolarmente attratti dal culto dell’Arcangelo che sentirono congeniale alla loro sensibilità di guerrieri ed il cui culto diffusero in tutta Europa.
A Sutri, nei pressi di Roma, c’è un affresco sorprendente : in un sacello dedicato alla Madonna del Parto, una specie di antro, forse un mitreo ricavato nel banco tufaceo e precisamente sull’arco del piccolo atrio che introduce alla cripta, troviamo raffigurato Gargano. La figura del pastore Gargano emerge in tutta la sua altezza, mentre sta tirando la freccia con l’arco, su una schiera di pellegrini medievali che si recano alla grotta del Gargano. Vestono lunghi mantelli col cappuccio ed indossano cappelli a larghe falde e procedono a mani giunte.
Ci chiediamo per quali vie sia giunta fin qui la storia di Gargano.
Anna Pia Giansanti – 21 gennaio 2012
Bibliografia essenziale
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P. Moreno, Lisippo l’arte e la fortuna, 1995
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L. Todisco Scultura antica e reimpiego in Italia Meridionale, 1994
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A. La Regina, Istituzioni agrarie italiche, in Civiltà della transumanza. Storia, cultura e valorizzazione dei tratturi e del mondo pastorale in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata, 1999
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