La salvezza nel tempio dell’Angelo
Il tempio Sant’Angelo intitolato all’arcangelo Michele fu realizzato nell’alto medioevo da alti funzionari della corte esarcale. La chiesa, che s”incontra a settentrione di Perugia lungo l’antico tracciato della via Amerina, fu progettata con una pianta circolare impostata su croce greca, perfettamente orientata secondo i punti cardinali.
L’edificio si caratterizza al suo interno per il bellissimo colonnato composto da sedici sostegni in marmo e granito di età romana.
L’ architettura rappresenta un disegno di geometria sacra che nasconde messaggi simbolici ed esoterici davvero sorprendenti.
Otto sono le misteriose epigrafi a lettere greche, incise e ripassate con vernice nera soltanto su quattro dei capitelli corinzi: quelli in corrispondenza del braccio nord/sud della croce greca.
Si tratta di enigmatiche iscrizioni che, secondo la mia ipotesi, rappresentano «nomina sacra» dal contenuto salvifico di vita oltre la morte, richiamando il nome di Cristo risorto, attraverso messaggi criptati.
Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura della ricerca che pubblicai nel 2012 , con il titolo “Vera deum facies”, sul Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CIX (2012), fasc. I-II [1]).
Nel seguente articolo riporto una piccola parte di quella che ricordo come una lunga ed entusiasmante indagine storica ed epigrafica, portata avanti con passione e dedizione nell’arco di oltre due anni, che non mi fu commissionata né tantomeno finanziata da alcuno. A spingermi a ricercare fonti e confronti, senza mai scoraggiarmi, fu certamente la mia curiosità ma anche una forza sconosciuta (non altrimenti spiegabile) che di fronte alle difficoltà incontrate mi aiutò di volta in volta a districare la matassa, fino a sciogliere i vari nodi che via via si presentavano nel corso della ricerca.
Le misteriose iscrizioni del tempio dell’Angelo
Le otto sigle incise sui capitelli del tempio di Sant’Angelo in Perugia, per lungo tempo ritenute da alcuni studiosi firme di artigiani del II secolo d.C. , sarebbero invece iscrizioni paleocristiane dal contenuto escatologico di salvezza.
Tali sigle, che come vedremo costituiscono dei trigrammi cristologici, furono probabilmente incise intorno al VII secolo, in concomitanza con la realizzazione del colonnato circolare creato attraverso il reimpiego di colonne, basi e capitelli già appartenuti ad edifici preesistenti.
La committenza di tali iscrizioni, così come quella della costruzione del tempio che le contiene, andrebbe ricercata, a mio parere, nel ristretto ambito di quel’ élite di provenienza greco orientale, di cui parlava la studiosa Donatella Scortecci già in un articolo del 1991.
La presenza delle sigle greche nella chiesa paleocristiana (che come spiegherò tra breve richiamano simbolicamente il concetto teologico della resurrezione di Cristo e quindi il messaggio di vittoria sulla morte terrena nel suo nome) permette di ipotizzare che le iscrizioni siano state volute da un alto dignitario bizantino – forse un magister militum, come veniva chiamato il “generalissimo” della corte esarcale presente a Perugia – nell’intento di rappresentare abbreviazioni di nomina sacra dotate di potere salvifico e, forse, anche magico e profilattico.
Tale ipotesi è confermata da confronti con altre abbreviazioni, sempre di provenienza orientale, illustrati ampiamente nella mia pubblicazione.
Osservando le sedici colonne in marmo e granito, che si ergono al centro del tempio dividendo l’ambiente interno in due navate concentriche, si nota che tali elementi di spoglio furono sapientemente disposti e abbinati a due a due dall’architetto medievale, secondo un disegno dall’evidente significato simbolico.
Baldassarre Orsini intuì per primo che la disposizione delle colonne del tempio non poteva essere casuale: «L’architetto che le pose ebbe senno di ordinarle con qualche simmetria», scriveva lo studioso alla fine del XVIII secolo[2].
Simbolico è anche il numero delle dodici aperture presenti nel tamburo sopraelevato, tamburo che in origine doveva essere più alto dell’attuale e dal quale proviene la luce esterna: le dodici finestre ad arco, disposte in quattro gruppi da tre, anch’esse perfettamente orientate secondo i punti cardinali, sono in esatta corrispondenza con i sottostanti triforia e rappresentano, sempre a mio avviso, le dodici porte della Gerusalemme Celeste!
Posizionandosi al centro del tempio e focalizzando l’attenzione sulle otto coppie di colonne anziché sui singoli elementi di spoglio, si scopre inoltre che ciascuna coppia è tutt’uno con l’arco che la sovrasta. Quasi che l’architetto medievale abbia voluto indicare, tramite l’orientamento e la disposizione a coppie del colonnato, le otto porte simboliche che si aprono nelle otto direzioni dello spazio.
In altre parole, ponendoci al centro del colonnato, sembra di trovarsi all’interno di un’immaginaria e simbolica rosa dei venti!
Si tratta di un’ architettura che nasconde un complesso e affascinante simbolismo teologico.
Oggi, purtroppo, i significati allegorici presenti nelle architetture degli edifici sacri dell’antichità sfuggono ai nostri occhi, abituati più che altro a riconoscere e ad apprezzare le qualità estetiche e funzionali dei manufatti del passato. Eppure sappiamo che in età tardo antica e medievale, i costruttori di edifici sacri si tramandavano conoscenze simboliche, utilizzate per rappresentare concetti teologici e cosmologici sotto forma architettonica.
All’inizio della mia ricerca mi colpì il fatto che le sigle del tempio cristiano risultassero incise soltanto su quattro dei sedici capitelli del peristilio, e cioè in corrispondenza delle due sole arcate orientate verso nord e verso sud. Non potevo credere che tale collocazione fosse stata dettata dal caso.
Leggendo René Guénon, intuii infine che una simile disposizione architettonica poteva indicare quelle che erano conosciute come porte solstiziali nella tradizione religiosa ed esoterica antica: la cosiddetta «porta degli dei» corrispondente al solstizio invernale, che indicherebbe il sole a sud dell’equatore celeste, e la «porta degli uomini» corrispondente al solstizio estivo, quando cioè il sole si trova a nord dell’equatore celeste [3]. Si tratterebbe ovviamente di attraversamenti simbolici che rappresentano allegoricamente i luoghi della luce e delle tenebre, della vita e della morte, dell’alpha e dell’omega.
L’ipotesi che le due arcate sorrette dalle quattro colonne recanti iscrizioni abbiano voluto indicare al cristiano le vie di accesso alle simboliche porte solstiziali, resta tuttavia una mia intuizione personale, ad oggi non ancora dimostrabile.
Ciò che invece mi è stato possibile dimostrare attraverso confronti e documenti, è che le epigrafi incise sui capitelli del tempio costituiscono sigle cristiane riferibili al nome di Gesù, il cui simbolismo si ricollega al mistero della sua resurrezione, e la cui presenza nel tempio cristiano serviva a rivelare al fedele il salvifico messaggio della vittoria di Cristo sulla morte terrena!
Tuttavia, come i manuali di epigrafia insegnano, prima di definire cristiana un’iscrizione occorre dimostrare che il concetto in essa espresso sia in qualche modo riconducibile al nascente pensiero teologico dei primi secoli.
Ho provato per questo ad analizzare una ad una le singole iscrizioni, tentando di interpretarne il contenuto simbolico.
Le otto iscrizioni del tempio sono costituite da sette trigrammi e da un monogramma. Quest’ultimo si trova in prossimità dell’attuale ingresso ed è costituito da un solo simbolo alfabetico: un H (eta) maiuscolo, inciso sul lato dell’abaco orientato verso nord.
La presenza di questa lettera isolata rappresenta a mio avviso il carattere chiave, il simbolo alfabetico che in un certo senso riassume in sé il significato di tutte le altre iscrizioni della chiesa paleocristiana.
Considerata sacra già dai primi padri della chiesa, la lettera H costituiva infatti uno tra i più antichi monogrammi di Cristo, derivato dall’abbreviazione per contrazione [4] del nome greco di Gesù IHSOYS [5].
E’ utile precisare che esistono molte varianti di cristogrammi che fanno riferimento al nome del Salvatore e che tali simboli possono presentarsi isolati, come in questo caso, oppure affiancati da altri caratteri, come nel caso delle lettere escatologiche alpha e omega[6].
Continuando ad osservare lo stesso capitello si nota sul lato dell’abaco orientato ad ovest [7] un’altra iscrizione, diversa dalle altre, che senza dubbio è la più enigmatica ed oscura tra le otto epigrafi del tempio.
Si tratta della sigla H · Λ · W. A differenza di tutti gli altri trigrammi, che presentano un omega minuscolo dalle curve arrotondate e piuttosto allargate, quella incisa in questa epigrafe è una lettera di tipo schematico, a guisa di W.
Inoltre osserviamo che, a differenza delle altre iscrizioni, qui le lettere sono intervallate da due punti tondi, posti a metà altezza tra di esse.
Il segno che segue la lettera eta ha l’aspetto di un triangolo privo di base e pertanto sembra corrispondere ad un lambda maiuscolo (Λ).
A mio avviso potrebbe trattarsi di una variante per la lettera alpha (Α) privata dell’asta orizzontale.
Se la mia interpretazione non è errata, la sigla potrebbe essere facilmente sciolta come cristogramma, formato da un H e seguito dalle lettere apocalittiche alpha e omega, confermando che si tratta anche in questo caso di una sigla cristiana dal contenuto salvifico.
Il simbolismo che si cela nelle iscrizioni del tempio Sant’Angelo è davvero sorprendente! Secondo la psefia (così era chiamata quell’antica scienza dei numeri utilizzata già dai Pitagorici e dai primi Padri della Chiesa, tra cui anche sant’Agostino) il numero otto è il valore simbolico corrispondente alla lettera eta [8].
Si tratta indubbiamente di un numero sacro che ricorre spesso in senso messianico anche nel Vecchio Testamento[9] ma che solo con l’avvento del cristianesimo acquisì il significato di una nuova prospettiva di salvezza.
Il dies octavus, corrispondente alla domenica dei cristiani, è infatti nel Nuovo Testamento il giorno della resurrezione di Cristo[10].
Ottenuto dalla somma di 1+7, il numero 8 divenne quindi simbolo di superamento e distinzione rispetto al numero 7 della cultura giudaica.
L’ottavo giorno, simboleggiando una promessa di vita eterna oltre la morte, finì per rappresentare un nuovo inizio oltre la fine, un alpha che anziché precedere, segue l’omega finale.
Tale simbolismo di rinascita e salvezza ci fa comprendere meglio il significato che la lettera eta e il suo corrispondente valore numerico 8 potevano rivestire per i primi cristiani, e ci permette anche di comprendere perché la forma dell’ottagono si trovi riprodotta nella tradizionale pianta di molti battisteri.
Il simbolismo dell’ottavo giorno spiega a mio avviso la ricorrente presenza della lettera H (eta) , e quella del suo corrispondente valore numerico 8, all’interno del tempio Sant’Angelo di Perugia:
otto sono le coppie di colonne, omogenee tra loro, disposte ad anello a sostenere il tamburo; otto sono le colonne in granito grigio orientate verso i due bracci ortogonali della croce greca che caratterizzava in origine la pianta della chiesa; e otto sono pure le iscrizioni a lettere greche, due per ciascuno dei quattro capitelli che sono stati oggetto della mia ricerca.
La presenza simbolica di questo numero chiave, come simbolo cristiano di superamento della morte terrena, si chiarisce ulteriormente se si considera la vocazione di tipo cimiteriale del sito in cui sorge il tempio circolare.
Nell’area limitrofa a Porta Sant’Angelo, corrispondente alla zona extraurbana che si estende a nord di Perugia, è attestata fin dall’età arcaica una necropoli etrusca[11].
Tale destinazione d’uso di tipo sepolcrale si mantenne certamente anche in età tardoantica e altomedievale.
Lo stesso tempio Sant’Angelo potrebbe essere sorto con funzione cimiteriale, come sembra confermare la presenza delle tre cappelle con ingressi autonomi (che ben si adattano ad un uso sepolcrale) e la presenza di varie sepolture tardomedievali, ancora conservate sul pavimento dell’ambulacro.
Credo che anche le processioni e le liturgie per la salvezza delle anime del purgatorio – che sappiamo essersi svolte in questa chiesa fino a pochi secoli orsono – vadano a confermare la continuità nella destinazione d’uso di tipo cimiteriale nel corso del tempo.
Altrettanto coerente con la funzione sepolcrale del tempio, mi sembra la notizia riportata dall’Orsini secondo cui, nel XVIII secolo, fu qui trasportato dalla cattedrale un grande quadro a tempera raffigurante Dio che comanda al profeta Ezechiele di gridare alle ossa sepolte, affinché ascoltino la parola divina.
La stessa intitolazione della chiesa contribuisce inoltre a spiegare, sempre a mio parere, il simbolismo di tipo salvifico che caratterizza l’architettura del tempio: chi infatti avrebbe potuto accompagnare il cristiano nel passaggio dalla morte terrena alla vita eterna in Cristo, se non Michele, il messaggero divino, l’intermediario per eccellenza tra Dio e gli uomini?
Chi, meglio dell’arcangelo psicopompo [12] poteva essere la figura più indicata ad assistere e custodire i corpi e le anime dei defunti?
P.S. Per chi fosse interessato a saperne di piú, consiglio la lettura integrale della mia ricerca, che ho pubblicato anche sul server di academia.edu al seguente indirizzo:
VERA_DEUM_FACIES._A_proposito_delle_iscrizioni_greche_del_Tempio_di_SantAngelo_in_Perugia
Note al testo:
[1] Ringrazio il professore Attilio Bartoli Langeli per i preziosi consigli che mi ha dato nella fase di stesura del testo
[2] Orsini 1792, p. 33
[3] Guénon 1975, pp. 201-206
[4] E’ bene precisare che le abbreviazioni in epigrafia possono ottenersi per sospensione (trascrivendo solo le prime lettere di una parola e omettendo le rimanenti), oppure per contrazione (abbreviando una parola attraverso la soppressione di una o più lettere). Quest’ultima forma, che è peraltro la più ricorrente nel linguaggio epigrafico, è anche quella più usata, in latino come in greco, per rappresentare i cosiddetti nomina sacra (cfr. Testini 1980, p. 350).
[5] «Il nome del Redentore si esprime con sigle di carattere puramente alfabetico che derivano per abbreviazione e con sospensione da Ιησουσ e da Χριστόσ» scrive Margherita Guarducci, elencando vari monogrammi cristologici tra cui quello dello I (iota) inserito nell’H (eta), sigla che deriva dalle prime due lettere del nome greco di Gesù e che risulta tra i più antichi monogrammi utilizzati in Oriente (cfr. Guarducci 1978, p. 310).
[6] Testini 1980, pp. 354-357
[7] Era questo il lato immediatamente visibile a chi, entrato dall’ingresso principale della chiesa, che in origine era a sud ovest, si fosse diretto verso il vano centrale o verso la cappella orientale.
[8] Già nell’antica numerazione greca precristiana la lettera η con apice in alto a destra simboleggiava il numero 8, mentre con apice in basso a sinistra rappresentava il numero 8000.
[9] Il numero 8 nel Vecchio Testamento ritorna varie volte, sempre collegato a concetti di consacrazione o di attesa messianica: Davide è l’ottavo figlio di Jesse. La purificazione del Tempio avviene all’ottavo giorno, dura otto giorni e termina al sedicesimo. La circoncisione ordinata da Dio ad Abramo è prescritta per gli Ebrei all’ottavo giorno dalla nascita.
[10] Al primo giorno dopo il sabato, come giorno in cui Cristo risorse, fa riferimento l’evangelista Luca: «Nel primo giorno dopo il sabato, al mattino molto presto, vennero al sepolcro portando con sé gli aromi che avevano preparato» (Lc. XXIV, 1). Troviamo il simbolismo del numero 8 anche in un altro passo di Luca, particolarmente significativo, a mio avviso, poiché si lega alla figura dell’Angelo che diede nome Gesù al figlio di Maria: «Quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel grembo della madre» (Lc. II, 21)
[11] Agli inizi del secolo scorso fu qui rinvenuta un’importante necropoli etrusca, detta dello Sperandio, documentata come sepolcreto almeno fino all’età romana.
[12] Il ruolo di psicopompo (pesatore delle anime) è di origine copta. Presso i monofisiti di Egitto l’arcangelo Michele avrebbe fatto proprie alcune caratteristiche dell’antico dio egizio Toth, raffigurato nel Libro dei Morti nella cerimonia della psicostasia mentre con la mano velata in segno di rispetto regge la bilancia. L’attributo della bilancia ritorna, pressoché identico, anche nell’iconografia medievale dell’arcangelo Michele che pesa le anime dei defunti.
Antonella Bazzoli – 27 ottobre 2017 (aggiornato 8 maggio 2021)