Il culto delle sante galattofore
Febbraio è il mese del latte materno, da sempre associato all’elemento acqua, all’idea di fertilità e all’universo femminile.
L’acqua è infatti l’ elemento che “purifica” e non stupisce ritrovarlo a februarius, il mese da sempre dedicato ai riti di purificazione. Lo stesso nome del mese dal latino februa si lega ai cosiddetti piamina (mezzi di espiazione), richiamando arcaici rituali purificatori che si svolgevano a Roma in attesa di di marzo, in vista della rinascita della natura.
Non a caso nel calendario festivo dell’antica Roma la dea Juno Februata (Giunone purificata) veniva celebrata durante il plenilunio di metà febbraio. E ugualmente non a caso il 15 febbraio si celebravano i Lupercalia, rituali di purificazione e fecondazione simbolica che sopravvissero al cristianesimo almeno fino al V secolo. Molte sorgenti e fonti d’acqua considerate salutari e terapeutiche, già poste sotto la protezione di divinità femminili in età precristiana, passarono nel medioevo sotto la tutela della cosiddetta Madonna del Latte o di sante “galattofore” (portatrici di latte) come Agata, Brigida, Anna, Eufemia, Romana, Scolastica e altre ancora.
Sante quasi sempre celebrate a febbraio, poiché questo periodo del calendario veniva considerato un tempo di preparazione e di espiazione, in attesa del ciclico rinnovamento del cosmo atteso a marzo con la rinascita primaverile.
BRIGIT, CONTINUITA’ DI CULTO AL FEMMINILE
Santa Brigida di Kildare, popolare soprattutto nei paesi del nord Europa, fu una badessa vissuta nel V secolo in Irlanda che proseguì l’azione evangelizzatrice di san Patrizio. Un curioso episodio riguarda la sua vita e al suo culto di santa “galattofora”: si narra che un giorno, nel monastero da lei fondato, giunsero in visita molti vescovi. Munse allora la sua unica mucca per offrire del latte ai suoi ospiti, ed ecco che miracolosamente l’animale produsse il triplo del latte che in un giorno avrebbe potuto darle. Divenne da allora la protettrice dei lattai, delle puerpere e del bestiame. Morì il primo di febbraio del 525, data significativa e non certo casuale, poiché segna il punto mediano tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera.
In questo giorno magico che coincide con il culmine dell’inverno, gli antichi Celti erano soliti celebrare Imbolc e la dea Brigit.
Fu così che quelle tradizioni religiose precristiane furono in seguito assorbite dal nuovo culto per santa Brigida. Non ci fu neanche bisogno di cambiare il nome della dea: Brigit (detta anche Brìg) divenne Brigid e il culto pagano confluì in quello per la venerata badessa irlandese. Persino alcuni arcaici rituali, legati alle sorgenti sacre alla dea del pantheon celtico, sopravvissero alla trasformazione: santa Brigida continuò ad assicurare latte in abbondanza non solo alle puerpere ma anche ai pastori i quali con le proprie greggi continuarono a recarsi in pellegrinaggio alle fonti sacre. Le devote della santa irlandese, dopo essersi lavate mani e piedi nelle acque magiche delle sorgenti ritenute terapeutiche, continuarono a strapparsi pezzi di stoffa dai propri vestiti, legandoli all’albero più vicino e danzandovi intorno, come prevedeva l’arcaico rituale, credendo in tal modo di allontanare ogni malattia dal corpo e dallo spirito.
AGATA, MARTIRE SICILIANA E SANTA GALATTOFORA
La santa galattofora più venerata in Italia è invece Agata, martire siciliana festeggiata il 5 febbraio. Anche lei, protettrice del bestiame e patrona di balie e nutrici, è considerata una santa dalle virtù taumaturgiche. Morì a Catania il 5 febbraio del 251 e da allora il suo culto si diffuse in tutta Europa. Sappiamo che all’età di vent’anni Agata possedeva già una vasta cultura tanto da diventare diaconessa. In quei primi secoli del cristianesimo, infatti, alle donne era ancora permesso ricoprire incarichi importanti in ambito religioso, mentre ne sarebbero state escluse in seguito.
Agata si occupava in particolare di catechesi, preparando i nuovi adepti al sacramento del battesimo. La sua promettente carriera sacerdotale fu però stroncata dal proconsole Quinziano, il quale invaghitosi della giovane le ordinò di ripudiare la fede cristiana. Di fronte al fermo rifiuto della donna, Quinziano inviò Agata presso Afrodisia, una cortigiana dedita alla prostituzione sacra, che invano tentò di corrompere la giovane diaconessa.
Persa ogni speranza, il proconsole fece allora arrestare e torturare Agata, amputandole i seni e sottoponendola infine al supplizio dei carboni ardenti. Ecco perché molte delle immagini pittoriche che rappresentano Sant’Agata evidenziano come attributo i suoi seni, offerti dalla martire su di una patena.
SANTA SCOLASTICA E IL RITO PROPIZIATORIO
Festeggiata il 10 febbraio, santa Scolastica è considerata a sua volta “santa galattofora” invocata in particolare dalle puerpere e dalle nutrici. A lei si raccomandavano anche i pastori, preoccupati per la sorte delle proprie greggi durante il periodo dell’allattamento delle pecore, che non a caso coincide con il mese di febbraio. Il culto per la sorella gemella di San Benedetto è attestato già nell’alto medioevo in varie regioni d’Italia, soprattutto negli ambienti agropastorali del centro e dell’Appennino. In Abruzzo, ad esempio, la santa protettrice del latte materno è ancora oggi venerata nel territorio di Teramo, in particolare a Villa Garrulo nel comune di Corropoli, dove sopravvive l’usanza di recarsi a bere l’acqua dalla fonte “miracolosa” di Santa Scolastica, situata nei pressi di una chiesetta a lei dedicata. Ogni anno, in occasione della sua ricorrenza vi giungevano in pellegrinaggio donne incinte per chiedere alla santa la calata del latte dopo il parto. Anche le ragazze nubili si rivolgevano a santa Scolastica, fiduciose di trovare con il suo aiuto un buon marito entro l’anno. Alla processione di santa Scolastica possono prendere parte soltanto le donne e il culto per la santa continua a mescolare devozione e superstizione, come nel momento rituale in cui le devote compiono tre giri intorno alla chiesa, reggendo una pietra in mano e recitando formule di preghiera propiziatorie. il rito, rimasto immutato nei secoli, garantirebbe alle puerpere latte in abbondanza e assicurerebbe alle giovani coppie una vita coniugale felice.
SANTA ROMANA E IL MIRACOLO DELLA ROSA
Merita di essere ricordata tra le sante galattofore anche la figura di Romana, legata come le altre al culto delle acque terapeutiche. Venerata a Sant’Oreste, sul versante orientale del Monte Soratte, la santa veniva invocata dalle puerpere che si recavano fino alla sua grotta in pellegrinaggio. Su una delle pareti di roccia si nota ancora una vasca, scavata per raccogliere lo stillicidio dell’acqua ritenuta miracolosa. Le puerpere che non avevano latte andavano fin lassù a piedi per bere il liquido miracoloso o per applicarlo sul seno. In tal modo si riteneva che il latte sarebbe sceso e che le donne avrebbero potuto sfamare i propri figli neonati.
Interessante è anche la vicenda agiografica di questa figura, non molto nota se non a livello locale. La piccola chiesa rupestre del monte Soratte a lei dedicata è addossata ad un anfratto naturale che conserva al suo interno un’iscrizione dove si parla del battesimo della santa, avvenuto per mano di san Silvestro.
Si narra che Romana, figlia di un prefetto di Roma, si convertì al cristianesimo rinunciando ad ogni agio e fuggendo di casa a soli dieci anni. Raggiunto Silvestro sul monte Soratte, la giovane cominciò a frequentarlo ogni giorno. Ma l’eremita, preoccupato per ciò che avrebbe pensato la gente, le ordinò di non tornare più fin quando non fossero rifiorite le rose. In quell’inverno il Soratte era coperto di neve, ma il mattino dopo Romana vide una rosa fiorita e così potè far ritorno da Silvestro il quale di fronte ad un simile miracolo decise di tenere con sé la giovane discepola. Romana si sarebbe in seguito spostata verso le gole del Forello, un tratto sinuoso del Tevere dalla natura aspra e selvaggia, dove la santa avrebbe vissuto da eremita fino alla sua morte, avvenuta nel 324 d.C. I resti mortali di Romana, sepolti nella grotta in cui ella era vissuta, furono poi traslati a Todi nel 1301, dove ancora riposano nella cripta della chiesa di San Fortunato.
E’ questa solo una delle tante chiese e santuari rupestri che, da nord a sud, non è raro trovare in Italia in corrispondenza di cavità sotterranee o sorgenti miracolose, ritenute sacre già in età precristiana. Nelle grotte in cui si veneravano le dee Madri, le acque calcaree ricche di carbonato di calcio richiamavano con il loro colore biancastro il latte materno. Così si spiegano anche alcuni curiosi toponimi di grotte, come quelle delle Zizze, a Valturara (Avellino) o come la Fontana delle Menne, a S. Lorenzello (Benevento).
In alcune cavità sotterranee è facile trovare stalattiti che ricordano la forma delle mammelle, sia per l’aspetto dell’acqua che stilla dalla roccia, sia per la forma arrotondata delle concrezioni. In Toscana le chiamano “pocce lattaie” e ve ne sono a Cetona, ad esempio, presso la ‘Buca Lattaia’, e a Pienza dove le proprietà terapeutiche e miracolose delle ‘Pocce Lattaie’ erano conosciute già in età romana. Nel territorio di Arezzo le puerpere si recavano in pellegrinaggio fino alla fonte galattofora di Sant’ Agata alle Terrine (Usciano). E sempre in Toscana c’è la Fonte Lattaia di S. Leonino, dove ancora oggi ci si reca ad offrire latte e grano, e dove un tempo venivano offerti ex-voto a divinità femminili . Le donne che si recavano alle fonti sacre, erano solite riempire boccette d’ acqua da riportare a casa per frizionare i seni. Chi invece si recava nelle grotte, strofinava direttamente i seni sulle concrezioni. Stalattiti con funzione terapeutica si trovano anche in Veneto, nelle grotte dei Colli Berici, e nella grotta Fontana del Boro (presso Crocetta del Montello). Qui tra l’altro è attestato anche un culto di Cibele, assorbito nel medioevo dal culto cristiano di San Mama (o San Mamete), enigmatica figura dal carattere androgino e dalle virtù galattofore.
di Antonella Bazzoli. Febbraio 2009 (aggiornato a Gennaio 2023)