Nati dalle ossa della grande madre
Quello del Diluvio è un racconto mitologico comune a molte culture. Esistono diverse varianti del mito, ma ciò che le accomuna è il racconto di un’apocalittica inondazione che sarebbe stata inviata da Dio per punire l’umanità.
Il tema centrale del diluvio lo ritroviamo in Nordeuropa, in Medioriente, in Asia, nel continente americano e persino in Oceania, tanto da ipotizzare che una catastrofica inondazione sia realmente avvenuta sulla terra in tempi molto remoti.
Il noto racconto biblico dell’ Arca di Noè, insieme a quello sumero cui fa riferimento l’Epopea di Gilgamesh, sono forse tra i più popolari testi relativi al diluvio universale.
Meno noto è invece il racconto del diluvio che ci è stato tramandato dalla mitologia greca. Mi riferisco alla storia di Deucalione e Pirra di cui abbiamo testimonianza da vari autori classici, tra cui Apollodoro, Pindaro e Ovidio.
Nel mito greco protagonisti sono Deucalione, figlio di Prometeo, e sua moglie Pirra.
Si narra che Deucalione, saggio re della Tessaglia, vivesse ai piedi del monte Parnaso mantenendo la pace tra i sudditi.
L’umanità, da poco uscita dallo stato primitivo grazie alla scoperta del fuoco e agli insegnamenti di Prometeo, aveva però cominciato a trascurare gli obblighi religiosi, peccando di superbia nei confronti delle divinità.
Zeus decise allora di distruggere il genere umano e lo fece inviando sulla terra il Diluvio Universale.
Tutti gli uomini furono sommersi dalle acque e perirono, tranne Pirra e Deucalione che furono gli unici ad essere tratti in salvo in virtù della loro pietas.
Dopo essere rimasti all’interno di un’imbarcazione per nove giorni e nove notti – tanto durò l’alluvione secondo la versione greca del mito – la barca si arenò sulla vetta del monte Parnaso e i due coniugi poterono finalmente scendere a terra sani e salvi.
Si ritrovarono tuttavia soli in un ambiente desolato e privo di ogni forma di vita umana.
Cominciarono allora a scendere sconsolati verso valle, fino a raggiungere il tempio dedicato a Temi, la dea della giustizia. Qui consultarono l’oracolo, e secondo la versione di Ovidio chiesero alla dea di ripopolare la terra.
La risposta oracolare fu però talmente enigmatica che in un primo tempo Deucalione e Pirra non riuscirono a comprenderla: “Uscite dal tempio e gettate dietro le vostre spalle le ossa della Gran Madre” decretò l’ oracolo.
Poi i due coniugi riuscirono a comprendere il significato simbolico di quelle misteriose parole, intuendo che per Grande Madre l’oracolo voleva significare la Madre Terra, e che per Ossa intendeva le pietre nascoste nella terra, che i due avrebbero dovuto raccogliere e gettarsi dietro le spalle.
Così Deucalione e Pirra cominciarono a “disossare” la terra sotto i propri piedi, raccogliendo sassi per gettarli poi dietro di sé.
Fecero ciò incamminandosi fuori dal tempio con il capo velato, proprio come l’oracolo aveva ordinato loro di fare.
Man mano che i due procedevano, lasciando cadere le pietre alle loro spalle, queste toccando terra si trasformavano in esseri umani. I sassi caduti dalle mani di Pirra diventavano donne in carne ed ossa, mentre quelli lanciati da Deucalione si trasformavano in uomini.
E in questo modo la Terra si ripopolò in breve tempo di nuovi esseri che – come era stato annunciato dall’oracolo – erano nati dalle ossa della madre terra.
La metamorfosi delle pietre che diventano carne, è descritta da Ovidio con queste suggestive parole:
“S’incamminarono e si velarono il capo e si slacciarono le vesti, e lanciarono all’indietro dei sassi, ubbidendo al responso, sulle proprie orme. I sassi – chi lo crederebbe se non lo attestasse una tradizione così veneranda? – cominciarono a perdere la loro fredda durezza, ad ammorbidirsi a poco a poco e, ammorbiditi, a prendere forma. Quindi crebbero, e diventarono di natura più tenera, e allora si cominciarono a intravedere delle forme umane, ma ancora mal rifinite, come se abbozzate nel marmo, similissime a statue appena iniziate. Poi, però, se c’era in loro una parte umida di qualche succo e terrosa, questa passò a fungere da corpo; ciò che era solido e impossibile a piegarsi, si mutò in ossa; quelle che erano vene, rimasero con lo stesso nome. E in breve tempo, per volontà degli dei, i sassi scagliati dalla mano dell’uomo assunsero l’aspetto di uomini, dai lanci della donna rinacque la donna. Per questo siamo una razza dura e rotta alle fatiche e i nostri atti provano di che origine siamo” (Metamorfosi, Libro I, 309-415)
Essere della stessa sostanza del mondo minerale ci avrebbe resi avvezzi alle fatiche, spiega Ovidio. Per questo saremmo diventati gente dura, conferma anche Pindaro, il quale chiamò addirittura la nuova stirpe “gente di roccia”: “Pýrrha e Deukalíon scesi dal Parnassós, posero casa dapprima, e fondarono senza connubio un popolo unito, una stirpe rocciosa, gente dal nome di pietra” (Pindaro, Olimpiche, IX, 5)
Interessante è notare che le pietre nascoste nel grembo della terra vengono paragonate allegoricamente alla struttura scheletrica dell’essere umano.
Le pietre sono dunque le ossa nascoste e segrete della madre terra, ed esse sono interrate perché rappresentano radici di vita, semi della creazione divina.
La pietra, considerata simbolo del microcosmo, rappresenterebbe pertanto il nucleo più profondo dell’essere umano e, in qualche modo, anche la sua essenza più nascosta, la sua natura occulta potremmo dire.
Come attributo della Grande Madre, inoltre, la pietra può essere accostata metaforicamente al simbolismo della caverna e del grembo materno, simbolo della natura femminile fertile, ricettiva e feconda.
Tuttavia la pietra non può essere ritenuta solo simbolo femminile, a mio avviso. Essa infatti fu spesso venerata anche come simbolo celeste, ad indicare la casa di Dio.
Per comprendere questo ulteriore aspetto simbolico che lega la pietra al Padre divino, pensiamo al sogno di Giacobbe nel Vecchio Testamento. Qui la pietra su cui il profeta poggiò la testa mentre dormiva e sognava, rappresenta un luogo sacro e numinoso, sede della presenza divina: «E come Giacobbe si fu svegliato dal sonno, disse: – Certo, Dio è in questo luogo e non lo sapevo! Ed ebbe paura e disse: – Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo! E Giacobbe si levò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva posto come capezzale, la eresse in monumento, e versò dell’olio sulla sommità di essa” (Genesi, 28, 11-18).
Dunque Giacobbe consacrò la pietra che aveva usato come capezzale, quale simbolo del luogo in cui aveva incontrato Dio!
Tornano in mente anche le parole di Gesù allorché, rivolgendosi all’apostolo Simone, disse: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18).
Il culto delle pietre, ritenute sacre da tanti popoli antichi, andrebbe dunque interpretato come culto rivolto alla divinità che nella pietra stessa risiede.
Poiché, come suggeriva René Guenon, i sacri simboli litici si legano al significato di “centro del mondo”, al concetto di omphalos che s’identifica nel modo più naturale con l’abitacolo divino.
Una lettura, quest’ultima, che fa acquistare un nuovo significato, di tipo allegorico e spirituale, a tutte le pietre sacre venerate dall’umanità, dalla “pietra angolare” ai sacri menhir, dalla pietra di forma conica sacra a Cibele, fino alle “pietre nere” cadute dal cielo, dal cosiddetto lapis niger alla “pietra filosofale” ricercata dagli alchimisti medievali.
Simboli litici che hanno in comune di ospitare in sé la divinità, e il cui scopo è fungere da collegamento tra la terra e il cielo, tra la materia e lo spirito, tra l’uomo e Dio.
di Antonella Bazzoli, 21 luglio 2016