L’arte contro l’eresia
“Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. Con queste parole il profeta Isaia predisse la venuta di Gesù sulla terra.
Una profezia che a distanza di secoli avrebbe ispirato l’arte medievale e che, insieme alle parole degli evangelisti Luca e Matteo, avrebbe contribuito a creare il tema iconografico dell’albero genealogico di Gesù.
Sulla grandiosa facciata policroma del duomo di Orvieto, tra colorati mosaici, sculture bronzee e marmorei rilievi, troviamo rappresentata la figura di Jesse, semidisteso alla base di un’intricata struttura arborea. La scena, che simboleggia la genealogia di Gesù, è raffigurata ad altezza d’uomo, in corrispondenza del secondo pilastro. Jesse giace con il braccio ripiegato sotto la testa. Sembra dormire, o forse sognare.
I singoli rilievi scolpiti dalla bottega di Lorenzo Maitani, sono divisi in numerosi scomparti, attraverso i girali di una rigogliosa pianta d’acanto. All’interno degli scomparti sono rappresentati i profeti e gli antenati di Cristo, tra cui i re d’Israele e i dodici figli di Giacobbe, da cui ebbero origine le rispettive tribù israelite.
Non tutte le figure degli antenati di Gesù sono state ancora identificate con certezza. Neanche il confronto con le fonti evangeliche sembra aiutare nel riconoscimento dei singoli personaggi. D’altra parte neppure Luca e Matteo concordano sui nomi degli antenati di Gesù. Mentre Luca fa risalire la genealogia di Cristo oltre Abramo, arrivando addirittura fino ad Adamo, Matteo si limita alla discendenza israelitica di Gesù, risalendo soltanto finoi ad Abramo e a Davide (Lc 3, 23 – 38; Mt 1, 1-17).
Osservando questi enigmatici rilievi, realizzati all’inizio del XIV secolo, ci si chiede cosa possano aver significato per l’uomo medievale che li osservava.
E soprattutto viene da domandarsi quale sia il legame tra questo insolito soggetto iconografico e le altre scene a rilievo, scolpite ugualmente dal Maitani sui rimanenti pilastri della facciata.
Sono infatti quattro i pilastri attribuiti alla bottega del famoso architetto senese: sul primo riconosciamo i momenti salienti della Creazione, sul terzo gli episodi della vita di Gesù, e sul quarto ed ultimo pilastro le impressionanti scene del Giudizio Universale.
Sembra quasi un racconto in quattro puntate, dal quale emerge lo stretto legame tra vecchio e nuovo testamento, e attraverso il quale si voleva dimostrare la discendenza di Gesù da Dio Padre, attraverso una genealogia che sarebbe risalita al primo uomo, Adamo, non a caso protagonista del primo pilastro.
E’ stato giustamente sottolineato da Jacopo Manna che la genealogia del figlio di Dio servì a dimostrare ai fedeli la duplice natura di Cristo, una natura al tempo stesso umana e divina.
Si tratta di un dogma della religione cattolica che si scontrò spesso in passato con il credo monofisita, che riconosceva invece soltanto la natura divina del figlio di Dio. Tale era anche il pensiero dei Catari, organizzati in vescovati, come quelli del centro Italia attestati a Firenze e nella Valle Spoletana.
La discesa sulla terra del Salvatore aveva per i Catari un significato salvifico solo in termini di rivelazione della verità e di trionfo della luce sulle tenebre. La passione e la morte di Cristo, così come la sua natura umana, erano invece considerate pura apparenza. Cristo e Maria sua madre, venivano ritenute creature angeliche, spiriti che solo apparentemente erano imprigionati in un corpo fatto di carne.
E proprio per contrastare questa pericolosa eresia, la chiesa di Orvieto avrebbe utilizzato il tema della radice di Jesse come prova inconfutabile della natura umana di Cristo. L’albero genealogico, inserito nel programma iconografico della facciata, servì dunque a contrastare l’eresia catara di chi credeva soltanto nella natura divina del figlio di Dio.
A conferma di questa teoria vi è una forte presenza eretica, attestata per tutto il medioevo sulla rupe orvietana. Sappiamo che nel XIII secolo le eresie catara e patarina erano molto diffuse a Firenze, Orvieto, Spoleto, Perugia e Viterbo, solo per parlare di alcuni luoghi strategici del centro Italia.
i Catari tentarono invano di sopravvivere alla “caccia all’eretico” portata avanti dalla chiesa cattolica nel medioevo. Caccia all’eretico che sfociò nella tristemente nota crociata albigese, indetta da papa Innocenzo III in Occitania per estirpare, con metodi cruenti e spietati, il fenomeno eretico alla radice.
La raffigurazione dell’albero genealogico ad opera della bottega del Maitani venne eseguita all’inizio del XIV secolo, ovvero a un secolo di distanza dal tragico massacro di Béziers che provocò migliaia di vittime innocenti tra la popolazione, tra cui anche donne e bambini!
Segno forse che l’eresia non era stata ancora del tutto debellata all’inizio del 1300, o forse segno che il popolo di Orvieto aveva bisogno di essere riportato sulla retta via, di essere in altre parole rieducato all’ortodossia cattolica.
La nuova forma di caccia all’eretico fu dunque realizzata tramite il potere mediatico dell’arte, attraverso la realizzazione di un programma iconografico dal carattere fortemente didattico e formativo, quale è appunto quello della facciata del duomo. La nuova strategia fu di utilizzare l’arte figurativa come propaganda mediatica anzichè i cruenti metodi inquisitori e bellici usati in precedenza.
Strategia senza dubbio più raffinata, e soprattutto più efficace di qualsiasi altra attività di tipo inquisitorio, quali la tortura o le crociate che fino ad allora non avevano dato grandi esiti in fatto di lotta all’eresia.
Analizzando le singole figure inserite tra i girali d’acanto dell’albero genealogico di Gesù, colpisce la presenza (sempre al secondo pilastro, appena al di sopra della figura del Jesse dormiente) del poeta Virgilio e della Sibilla di Cuma: due personaggi solo apparentemente estranei alla vicenda genealogica di Cristo.
Il mistero di questa presenza pagana in un soggetto iconografico cristiano, si svela attraverso la lettura dell’Egloga IV delle Bucoliche virgiliane: “E’ giunta ormai l’ultima età dell’oracolo cumano e ricomincia il gran ciclo dei secoli. Torna la Vergine, tornano i regni di Saturno, e una nuova progenie scende dall’alto del cielo. E il bambino che nascerà, con cui avrà fine per la prima volta la stirpe del ferro, e quella dell’oro sorgerà nel mondo intero, tu casta Lucina proteggilo…” (Bucoliche, IV, 4,10).
Il carme fa riferimento all’imminente avvento di un puer che avrebbe portato al mondo intero rinascita, salvezza e felicità.
Virgilio si ispirò verosimilmente ai libri sibillini, e in particolare al contenuto di uno di essi che a lui doveva essere noto, in cui l’oracolo cumano preannunciava il ritorno all’età dell’oro, quell’era mitologica e lontana nella quale si credeva che Saturno avesse regnato ancor prima della venuta di Giove.
Prima Lattanzio, poi sant’ Agostino, ripresero il testo di Virgilio sulla profetica nascita di un Salvatore, trasformando il poeta mantovano in una sorta di inconsapevole veggente cristiano.
A tal proposito vale la pena ricordare che nel XXII Canto del Purgatorio, anche Dante immagina un incontro fra Virgilio e il poeta Stazio, dove quest’ultimo riconosce in Virgilio colui che gli avrebbe mostrato la strada della vera fede, con queste parole: “Per te poeta fui, per te cristiano”.
Si scopre così che le Sibille, così spesso raffigurate in opere d’arte rinascimentali accanto ai profeti del Vecchio Testamento, furono un soggetto iconografico noto e duffuso già nell’arte del periodo medievale.
Un soggetto ereditato da fonti classiche, in seguito ripreso e sviluppato da fonti tardoantiche (come il “Divinae Institutiones” di Lattanzio) e da fonti altomedievali (come il “De civitate Dei contra paganos” di Agostino d’Ippona).
E infine, sempre alla luce dell’opera virgiliana, si spiega forse anche la presenza dell’acanto come pianta prescelta per rappresentare l’albero genealogico di Orvieto: i suoi girali separano le singole figure nella complessa struttura simbolica arborea e a guardarli tornano in mente i versi del poeta Virgilio: “Ma per te fanciullo i primi piccoli doni darà la terra senza essere coltivata: l’edera serpeggiante e l’elicriso e colocasia tra ridente acanto” (Bucoliche, IV, 21, 23).
Antonella Bazzoli – 20 settembre 2010, aggiornato 2 maggio 2015
Per approfondimenti:
“La cena segreta. Trattati e rituali catari” a cura di Francesco Zambon, 1997, Adelphi
“L’albero di Jesse nel medioevo italiano. Un problema di iconografia”, Jacopo Manna, 2001 – www.nuovorinascimento.org
“Orvieto. L’albero contro l’eresia”, di A. Bazzoli, Fuaié, N. 35, Novembre 2007