Graffitomania nella chiesa di San Claudio
Un mio amico una volta provò ad elencare tutte le manie che esistono al mondo. Ce n’erano di curiosissime. Ma ne mancava una, la mia: la graffitomania. Mi domando ancora come ho contratto questa malattia. Sta di fatto che quando entro in una chiesa – ché questo è l’ambiente più adatto per un graffitomane – prima dò uno sguardo all’insieme, poi cerco di individuare se c’è qualche affresco e un momento dopo la punta del naso comincia a zigzagare come un cane da tartufi.
S. Claudio a Spello è una delle tante ‘graffitoteche’ sparse per l’Umbria. C’ero già stato vari anni fa e mi ero soffermato su un graffito del 1559 di cui riparleremo fra poco. Oggi non è più possibile osservarlo nella sua interezza perché in gran parte è stato stuccato dai restauratori. Li capisco: a loro interessa, giustamente, riportare a migliore lettura non i graffiti ma i dipinti. A me invece interessano entrambi. Mi piace sapere chi è passato per quella chiesa e per quale ragione ha ‘violato’ il muro. Senza dire che talvolta il graffito fornisce qualche informazione insperata sull’opera che gli fa da supporto e dunque diventa un elemento di conoscenza in più. Non sempre i critici d’arte hanno la pazienza e la curiosità di leggere tutto quello che sta sulla superficie dipinta. Peccato, non sanno quel che si perdono! Recentemente, ad esempio, nella chiesuola della Fiamenga a Foligno, è venuto fuori l’anno e il mese in cui fu decorata la tribuna e, del tutto inopinatamente, anche il nome dell’autore, Pierantonio Mezzastris. La scoperta ha elettrizzato me e il restauratore Giuliano Raponi che mi aveva gentilmente invitato a ficcare il naso in uno sciame di graffiti rimasti su una zona dell’edificio. Sarebbe stata una perdita indubbia se il restauro li avesse occultati, ma per fortuna non è andata così.
Non meno eccitante è stata la caccia ai graffiti nella casa dell’Alunno, oggi inglobata nel monastero di S. Anna, sempre a Foligno. Alcuni sono autografi e in qualche caso sono corredati da schizzi e studi dello stesso maestro. Una vera rarità. Altra abbondante messe di scritte copre le pareti di Palazzo Trinci e della chiesa di S. Maria in Campis, ancora una volta a Foligno, sicché vien voglia di suggerire a qualche organizzatore di dedicare ai graffiti folignati, e magari del circondario, un bel convegno ed una mostra itinerante. Questa sì che sarebbe un’idea originale. Ma torniamo a S. Claudio di Spello, ovvero al Santo Chiodo o Chiodio di una volta.
Grazie alla preziosa collaborazione di Antonella Bazzoli e alla cortesia di Luisella Bono è stato possibile studiarli attentamente, il che non significa che tutti sono stati ridotti ad esatta lettura. Sarebbe presuntuoso solo il pensarlo. In base all’esperienza sapevo già che alcuni di essi si sarebbero rifiutati di piegarsi ad un’interpretazione qualsiasi, altri si sarebbero lasciati svelare solo in parte, altri invece si sarebbero manifestati più o meno chiaramente. Ma il dubbio, in questo tipo d’indagine, rimane sempre e la perfezione è pura utopia.
Prendiamo, ad esempio, quel graffito del 1559 ‘bonificato’ nel recente restauro. Era già ermetico prima, adesso sarebbe impossibile per chiunque darne una restituzione plausibile. Mi immagino quanto tempo ci avrei perso e quale pessimo risultato avrei raggiunto. Per fortuna l’appunto che ne trassi allora permette di tagliare la testa al toro, e questo la dice tutta sulla forza sovrumana che ha un semplice appunto:
“Joanironimo da ru Castillucchiu de Norschia garzone de Cepolla, a dì 2 de otobere 1559”.
Giovan Girolamo di Castelluccio di Norcia fu a S. Claudio forse al seguito di qualche gregge o mandria di bestiame come si arguisce dalla qualifica di garzone che egli stesso si dà. Ciò che meraviglia è che sapesse scrivere, sebbene da pecoraio.
Passiamo ora in rassegna le altre iscrizioni graffite sugli affreschi di S. Claudio, non tutte ovviamente, ma comunque una buona parte. Non seguiremo un ordine preciso, né appesantiremo la lettura con l’indicazione del punto dove si trovano. Tanto questi accorgimenti non funzionano quasi mai. Chi è veramente interessato saprà trovarsele da solo, anzi ne scoprirà delle altre e in più potrà correggere quelle che presentiamo.
“Passò di qui” è l’equivalente di “hic fuit”, l’espressione più ricorrente nei graffiti. Eccone un gruppetto:
“Fra Bonaventura da Cesena passò de qui a dì 24 de luglio 1556”.
“Altobrano passò di qui alli 1587 per andare alla Madonna“.
Quale Madonna andasse a visitare Aldobrando è incerto. Forse quella di Loreto.
“Marciliano Jobbi da Sassoferrato pasò di qui 1583.”
“Frate Giuliano de Faenza passò qui a dì 29 de lulio del 1573″.
“1587 (o 1581), frate Gervaso (?) pasò de qui nelli 1122 de l’ordine [- – -]”.
Facendo la sottrazione si arriva al 465 (o al 459) d. C. Non poteva appartenere all’ordine benedettino perché s. Benedetto nacque dopo, attorno al 480. Potrebbe trattarsi di un agostiniano anche se S. Agostino morì prima, nel 430. Sono graditi suggerimenti.
“A dì [.]9 de luglio 155(1?) passò [de qui] [Greg]orio de Teremo”. Non è da escludere che possa intendersi Terni (Terane, Terani), città che condivide con Teramo un’identica etimologia (‘Interamna’, tra due fiumi).
Il gruppo più nutrito si raccoglie attorno al classico “hic fuit”:
“Hic fuit donus [- – -]1460”
L’anno 1460 è il termine ‘ante quem’ per l’affresco di S. Claudio sul primo pilastro entrando. E’ un dato che farà piacere a Corrado Fratini, il quale ha riunito un piccolo corpus di opere attorno a questo ignoto pittore, cui non dovrebbe essere estranea l’immagine molto frammentaria del beato Ciaccaro riemersa da poco a Castel S. Giovanni di Castelritaldi. Donus(anche domnus e dompnus) equivale al nostro ‘don’. Era dunque un sacerdote, non un frate.
“Hic fuit fr. Conradus de G[..]itia [- – -]”.Forse è Gorizia più che Galizia.
“Fr. Paulo Silvestri de Senis hic [fuit] die [..] mai 1471”
“Hic fuit Valfredus (?) Brinserna van Ghandt“. Questo visitatore ha indubbie affinità col seguente.
“Ghent Wulfart Brinserna”. Ghent/Gent è il nome fiammingo di Gand (Belgio).
“1473 hic fuit Laurentius de Lugano”
“1477 hic fuit Stephanus de Angeleriis”
“Hic fuit [- – -] 1560”.
“Hic fuit [- – -] de Sancto Chiodio”
“Hic fuit Benedictus de [- – -]”.
“Hic fuit Canonico” (sic).
“Hic fuit Nicolaus de Iohanne de Cola pitto”[re ?] (sec. XV).
“Hic fuit Ugolinus Heelt teotonicus”
Il suo cognome dovrebbe significare ‘salute’. Lo stesso teutonico si firmò di nuovo a brevissima distanza.
“Hugo Heelt fuit hic anno Domini mccclxxxxiiii die viii octobris mensis octobris” (sic).
“Item fuit Janne lapicida / anno Domini mccclxxxxv” (o 1394).
Dovrebbe essere uno straniero a giudicare dalla grafia e dal nome, inusuale da noi sotto questa forma. Era un intagliatore di pietra (lapicida) e come tale devoto di S. Claudio, protettore degli scalpellini.
Vale la pena di sottolineare come le ultime tre iscrizioni, situate nell’angolo destro dell’archivolto absidale, siano quasi coeve degli affreschi della parete soprastante, datati 1393 e attribuiti unanimemente all’orvietano Cola di Petrucciolo.
A quest’ultimo, secondo chi scrive, va tolto l’affresco in basso a sinistra tra la navata e la parete di fondo (“Madonna col Bambino tra s. Giacomo Maggiore e S. Antonio Abate”) i cui caratteri rimandano invece a Cola di Pietro da Camerino, attivo tra la fine del sec. XIV e i primi del sec. XV anche in Valnerina (Vallo di Nera, Borgo Cerreto, Biselli di Norcia e Visso).
Alla stregua delle precedenti vanno considerate anche le seguenti attestazioni:
“[- – -] Laurentius de loco de Bruccella de Alamania mccccvii, xviii die mensis octobris” “Frater Benedictus de / Pucciarello”
Benché sia composta da due parti distinte spazialmente e stilisticamente (‘Pucciarello’ è in lettere allungate come nell’inscriptio delle bolle pontificie), questa scritta è stata unificata perché un segno a forma di svolazzo collega i due membri in modo abbastanza evidente.
“Fra Francesco da Cupertino”(sec. XVI, replicata a poca distanza).
“Frate Franc(esco) de Palestro ord(inis) min(orum) 1590, 20 (otto)bre”
“Paulo Canbio da Sanseverino” (sec. XVI).
“Altovitus et [- – -]”
“[- – -] fiorentino”
“A dì [..] de otobre 1553 Ruggiero B(ello) da Cannara / F. S. S. sempre”
Nelle ultime tre lettere puntate si nasconde forse una professione d’amore. Le due ‘S’ potrebbero ad esempio significare “S(uo) S(ervitore)”. A questo rubacuori spetta anche la grande sigla cifrata Ru(ggie)ro B(ello) che deturpa la Madonna col Bambino sul canto destro del presbiterio.
“Francoiz Ipeuriol (?) Bonanfan(t) de Nanate AN[..]EBRETAIEN[.]”
La nobile famiglia Bonanfant (it. Bonfigli/o) è attestata a Nantes (città fondata dai Nanneti, popolo della Gallia Armoricana), già capoluogo della Bretagna, regione cui potrebbe alludere la parte finale del graffito.
“Zuano (?) d[- – – ] de Molduzzo da Forlì venne in questa qesia a dì 21 de magio 1492”
Per un attimo questo graffito, che rimane oscuro nella parte iniziale, ha fatto pensare a Melozzo da Forlì o a Marco Palmezzano suo allievo. Allo stato attuale, però, sembra di poter escludere un così strepitoso collegamento.
“B. Crispoldi, 27 agosto 1906” (a matita). E’ Benvenuto Crispoldi, membro del Consiglio dell’Accademia delle Belle Arti di Perugia, il quale si stava occupando della chiesa di S. Claudio proprio in quegli anni.
Si leggono anche semplici date, prive di nome:
“1430 [- – -] libera me Domine iterum“. Evidentemente un peccatore recidivo.
“Addì 27 de aprile 1531″ “1546 primo febraro [- – -]” “A dì 31 di luglio 1547″ “1561″
Infine alcuni apprezzamenti rivolti al gentil sesso:
“W Albertina Bella 1553”, replicata con la data “1555″. “Polimia B(ella)” “Sulpitia molgie de Antonio“.