L’affascinante complesso della Trinità a Venosa

Sorprende come una piccola città della Basilicata come Venosa possieda un così vasto complesso religioso, dal suggestivo effetto scenografico, la cui storia si dipana attraverso i secoli, dall’età repubblicana romana al medioevo.
Di questo monumento vorrei parlarvi anche se farlo in maniera sintetica è alquanto difficile, data l’articolazione delle costruzioni.
Il complesso sorge in prossimità della città su un sito che era stato occupato, secondo un’antica tradizione, da un tempio dedicato ad Imene, la divinità che proteggeva i matrimoni. In ogni caso è documentata la frequentazione del luogo fin dal III sec. A C. grazie al rinvenimento di vasti resti di abitazioni, mentre continuò ad essere abitato in età imperiale, come testimoniano i ritrovamenti di una domus, di un anfiteatro e di botteghe con fornaci e vasche, utilizzate per la produzione di materiali ceramici.
Nel IV secolo d.C. il sito fu abbandonato per essere poi utilizzato come luogo di culto.
La più antica chiesa del complesso risalirebbe al V-VI secolo, epoca di datazione di una vasca, ipotizzata come battesimale, segnata da una croce monogrammatica incisa sulla parete di pertinenza, e da un piccolo sepolcreto attiguo alla vasca.
Una delle tombe del sepolcreto presenta un particolare interessante: nella copertura, in corrispondenza del petto del defunto deposto, c’è un foro sotto il quale sono stati rinvenuti frammenti di tessuto. Si è ipotizzato si trattasse di “brandea”, cioè di stoffe o nastri che i fedeli calavano nella tomba di un santo per santificarli e portarli poi indosso quale protezione.
La tomba potrebbe allora riferirsi al martire Felice che, secondo una tradizione venosina, giunse in quella città dall’Africa insieme ad alcuni compagni per predicare il Cristianesimo in Italia meridionale e in Sicilia. Non è certo dove fu martirizzato, ma è probabile che alcune sue reliquie furono riportate a Venosa dove è ancora vivo il culto per il Santo.
A sud della vasta area fu poi costruita la cosiddetta “basilica esterna”, ad una navata con abside trilobata, pavimentata a mosaico, con una vasca battesimale esagonale adibita a battistero, dove però si svolgevano anche altre attività liturgiche.
A nord di questa basilica vi è un secondo edificio, più grande e complesso: la “Chiesa vecchia” a pianta longitudinale, a tre navate e abside con deambulatorio. L’apparato murario è costituito da pietre sbozzate irregolarmente e conci lapidei. La copertura interna è a capriate e quella esterna a doppio spiovente.
Se la struttura richiama una tipologia paleocristiana, particolarmente originale appare l’area presbiteriale costituita da una prima abside ampia quanto la navata centrale, con otto aperture che affacciano su un’altra abside più vasta, che insiste sulle pareti perimetrali della basilica. Si ottiene così un deambulatorio, pavimentato a mosaico, a cui si accede attraverso due porte aperte sul fondo delle navate laterali.
Al centro dell’abside più piccola c’è una fossa nascosta dall’altare che doveva proteggerla, una sorta di ipogeo, mentre una vasta cripta si estende lungo tutto il transetto. Da questo luogo sotterraneo doveva essere possibile vedere le reliquie conservate nel piccolo ipogeo attraverso una “fenestella confessionis” chiusa da una grata di ferro.
Le parti “nobili” della basilica dovevano essere tutte pavimentate a mosaico, i cui motivi rientrano perfettamente nel repertorio paleocristiano di area adriatica: nodi di Salomone, motivi geometrici, meandri e svastiche, motivi vegetali e zoomorfi.
Nel periodo che va dal VII al X secolo, le due basiliche caddero nell’abbandono e il luogo subì considerevoli modifiche, in quanto usato a scopi cimiteriali. Molte furono le tombe costruite sia nell’area esterna che all’interno delle due chiese e il loro contenuto risulta illuminante  in quanto sembra riferirsi alla cultura longobarda.
Fu proprio per volontà dei Longobardi che nel 942 sorse il primo nucleo di un monastero benedettino che finì per contare più di cento monaci e per diventare una delle più importanti comunità religiose dell’Italia del sud.
Ad accrescere l’importanza dell’abbazia si aggiunse, nel 1069, la decisione di Roberto il Guiscardo di far tumulare nella Chiesa Vecchia, accanto al fratello Umfredo, anche gli altri due fratelli, Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone. Nel 1085 poi sarebbe stato qui tumulato lo stesso Roberto per volontà della seconda sposa Sichelgaita.
Accadde allora che, tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, si progettò la costruzione di una nuova grande basilica da affiancare alla Chiesa Vecchia, un’ immensa Chiesa Nuova che però non fu mai terminata e che viene definita per questo “l’ Incompiuta”.
Di quest’ ultima basilica, che rappresenta la parte più suggestiva e scenografica del complesso, è leggibile il corpo longitudinale, diviso in tre navate, con un ampio transetto sporgente ed absidato ed un coro molto profondo, circondato da un deambulatorio con cappelle radiali.
Non fu mai realizzata la copertura, né le fondazioni del colonnato settentrionale.
L’Incompiuta deve il suo fascino alla grandiosità del suo impianto ed al fatto che non fu mai finita, rappresenta quindi  l’unico caso visibile di una normale consuetudine che si verificava quando si costruiva una chiesa nuova sul luogo di una più antica. Generalmente si lasciava in piedi la prima per consentirne l’utilizzo, fino al momento in cui la nuova non era in grado di assolvere alle funzioni liturgiche. Solo allora si demoliva quella precedente.
Nonostante la datazione del monumento sia ancora discussa, sembra certa l’influenza dell’architettura francese, forse portata da monaci francesi nell’XI secolo o dai Normanni nel XII secolo, come pure è sicuro l’utilizzo di maestranze e di materiali locali. E’ abbastanza plausibile che siano stati utilizzati, quali materiali di reimpiego, l’anfiteatro e gli altri monumenti romani della zona che costituirono una vera e propria cava, pronta ad offrire materiali già pronti per esser usati e che oggi fanno dell’Incompiuta un museo a cielo aperto. Numerosissime sono infatti le lastre con iscrizioni che vanno dall’età della repubblica romana a quella imperiale, le lastre decorate a bassorilievo con motivi geometrici o vegetali altomedievali, come pure le iscrizioni ebraiche di recupero più tardo.
Una tradizione documentata vuole quindi che siano stati i Benedettini ad iniziare la costruzione di questa basilica e che i lavori siano stati rallentati dalle alterne fortune dell’Ordine, fino a quando Bonifacio VIII, nel 1297, non soppresse il monastero e consegnò il complesso della S.S. Trinità ai Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni (noti come i Cavalieri dell’Ordine di Malta) per compensarli della perdita dei loro territori in Palestina dopo la nona ed ultima Crociata.
Questi ultimi si insediarono nel cuore di Venosa nel Palazzo del Balì, ancora oggi esistente e ben conservato. Resta, a ricordarli, una lunetta all’ingresso del tempio su cui è raffigurato un agnello con la croce, simbolo dell’Ordine.
Ma questa è un’altra storia di cui parleremo un’altra volta …

testo e foto di Anna Pia Giansanti (testo e foto) 30 settembre 2013