Arte medievale sulla via per l’Oriente
Nella campagna brindisina, a pochi chilometri dalla città, sorge uno dei monumenti più interessanti e rappresentativi dell’arte medievale pugliese, la chiesa di Santa Maria del Casale, dai caratteri architettonici originali che gli derivano dall’ apparire una sorta di sintesi tra il linguaggio romanico e quello gotico.
L’edificio venne edificato tra il 1300 ed il 1310 sul sito dove sorgeva un’antica cappella che accoglieva un’icona miracolosa di una Madonna col Bambino. La sua costruzione fu voluta da Filippo I d’Angiò, principe di Taranto, e dalla moglie Caterina di Courtenay, figlia di Baldovino conte di Fiandra e imperatore di Costantinopoli, per ringraziare la Madonna che aveva esaudito il loro desiderio di avere un figlio.
La nuova chiesa inglobò l’antica cappella, l’immagine della Vergine venne conservata ed in seguito posta sull’altare maggiore. Si narra che anche San Francesco, di ritorno dall’Oriente, abbia pregato davanti a questa icona.
Dal 15 maggio del 1310 la chiesa fu utilizzata come cancelleria durante il processo contro i Templari del Regno di Sicilia. Qui un tribunale composto dall’Arcivecovo Bartolomeo di Brindisi, il Canonico romano di S. Maria Maggiore Jacopo Carapelle, i francesi Arnolfo Bataylle e Berengario di Olargiis ed il Canonico Nicola il Mercartore, condannarono in contumacia i Cavalieri Templari. Il luogo venne scelto perché fuori dalla città di Brindisi e al contempo vicino alle strade che conducevano in Oriente, ma soprattutto lontano da coloro che avrebbero potuto conoscere l’eccidio che lì si stava preparando.
L’edificio sacro coniuga una solenne monumentalità con uno slancio ed un’eleganza anche cromatica. La facciata è a capanna, divisa verticalmente in cinque settori da sottili lesene, mentre orizzontalmente è ornata da fasce dicrome ottenute dall’uso di due tipi differenti di pietra tufacea locale, il carparo, che forma vari decori. Lungo gli spioventi i tradizionali archetti pensili. Il portale è coronato da un protiro pensile molto aggettante dal fronte trilobato e completato lateralmente da gradini degradanti verso il basso.
La pianta è longitudinale, a navata unica con transetto. L’arco trionfale che conduce al presbiterio è costituito da una grande ogiva e ogivale è anche il catino absidale.
All’interno S. Maria del Casale conserva vari affreschi, tutti di grande interesse non solo artistico, ma anche storico in quanto i soggetti raffigurati e le iconografie testimoniano, per le affinità con modelli orientali, come questa chiesa abbia rappresentato un punto nodale di passaggio per coloro che partivano o tornavano dalle Crociate.
Tra questi il più importante è sulla controfacciata, con la rappresentazione del Giudizio Universale.
Di questo dipinto, risalente al 1319, conosciamo anche il nome dell’autore, Rinaldo da Taranto.
Rinaldo, insieme al fratello Giovanni, dopo un probabile apprendistato nella città di Taranto, operò in diversi luoghi del sud dell’Italia e probabilmente ebbe una diretta conoscenza dell’arte figurativa orientale, grazie ad una serie di viaggi compiuti in Palestina e a Cipro.
Il giudizio si estende a riempire tutta la controfacciata lungo quattro fasce orizzontali e parallele.
La prima fascia vede al centro, così come accadrà in un’iconografia che diventerà canonica in tutta la storia dell’arte, Cristo Giudice con accanto la Vergine e San Giovanni Battista. Ai lati gli Apostoli seduti con alle spalle una schiera di Angeli.
Nella fascia sottostante troviamo, in corrispondenza di Cristo, una mandorla retta da Angeli che contiene la Croce, accompagnata dai simboli del martirio; ai suoi piedi sono Adamo anziano e barbuto ed Eva, entrambi vestiti e in preghiera per la salvezza dell’umanità. Quindi, di dimensione rilevante, due Angeli che recano tra le mani i libri stellati aperti ed altri due, rivolti nella direzione opposta che suonano le tube e risvegliano i defunti.
A sinistra assistiamo al risveglio dei defunti sepolti nella terra, a destra a quello dei defunti dimenticati in mare. La Terra ed il Mare sono due figure allegoriche ed antropomorfe ritratte al centro delle due scene.
Nella terza fascia a destra sono i Beati e a destra San Michele Arcangelo nell’atto di misurare le anime con una bilancia. Si tratta di una scena di “Psicostasia”, una contaminatio chiaramente ripresa dagli antichi dipinti egiziani.
Infine abbiamo una quarta fascia che si articola ai lati del portale d’ingresso e che rappresenta a destra un Paradiso lussureggiante, con i Patriarchi, seduti in trono che accolgono nel loro grembo le anime degli eletti, accompagnati ad alberi tra cui è possibile distinguere un fico, un dattero un melograno ed un ciliegio. A sinistra è l’Inferno, dominato da un gigantesco Satana tra le fiamme.
Immediato ci sembra il richiamo al mosaico del medesimo soggetto presente nel Duomo di Torcello e risalente al XII secolo, sia per la particolare disposizione delle scene che, anche in questo caso, occupano tutta la controfacciata e i lati del portale, sia per le due scene relative ai defunti richiamati dalla terra e dalle acque.
Invece la lingua di fuoco che nasce da Cristo e si riversa come un fiume nell’Inferno, ci ricorda quella raffigurata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni solo qualche anno prima e che però si divide in quattro rivoli.
Rinaldo da Taranto con questo grande affresco che si lega intimamente all’architettura, ha rivelato una sicura conoscenza di quanto accadeva nelle arti figurative dei suoi anni ed ha dimostrato di aver saputo armonizzare un registro linguistico di chiara ascendenza bizantina con uno stile occidentale. Inoltre ha manifestato doti di immediatezza narrativa avvalendosi anche di differenti scelte cromatiche e passando da colori vivaci e luminosi a toni cupi e drammatici, a seconda del contenuto delle scene che andava creando.
Un’opera che invece nacque con molta probabilità dalla collaborazione dei fratelli Rinaldo e Giovanni è il dipinto con l’Albero della Vita.
Si tratta di un tema molto diffuso nell’arte gotica e che ha un illustre precedente nello straordinario pavimento musivo del Duomo di Otranto (1163-1165).
L’albero, circondato da una cornice che in alto riporta gli stemmi degli Angioini, ha ai lati due fasce con le immagini clipeate degli Apostoli. Al centro, con le braccia aderenti a due rami dell’albero, è Cristo Crocifisso del tipo patiens che, per la curva dolente del corpo e la testa reclinata, rimanda al crocifisso riminese di Giotto o secondo lo studioso Leone De Castris, potrebbe legarsi alla scuola di Pietro Cavallini, conosciuta dai due fratelli pittori quando questi furonoa a Napoli. Ancora una volta però a tali elementi occidentali si uniscono caratteri bizantini, quali l’ampio torace, le braccia sottili e troppo lunghe e la testa piccola dai lineamenti rigidi.
testo e foto di Anna Pia Giansanti – 2 febbraio 2011