Humanitas e magia

E’ un’idea di vertigine, una sensazione fisica soprattutto, quella che nel suo epistolario Flaubert espresse alla lettura delle Metamorfosi di Apuleio, quasi fosse incapace di contenere in sé una materia tanto ricca e multiforme.
Il favoloso intrecciarsi delle avventure di Lucio, il protagonista, sfugge ad una comprensione immediata proprio come l’esperienza vissuta, colta nel suo divenire: filo conduttore è il tema del viaggio sul quale s’innestano vicende, incontri e storie narrate.

Una terra favolosa e magica costituisce quello sfondo necessario alla narrazione, una Tessaglia “patria degli incantesimi e dell’arte magica”(II,1) che, in quanto tale, asseconda ed eccita l’animo di Lucio, per sua natura cupido di “conoscere ogni fenomeno raro e meraviglioso”. La fortuna asseconda questa sua inclinazione: viene accolto in casa dell’avaro usuraio Milone, la cui moglie, Panfile, è presentata appunto come una maga esperta e pericolosa.

ll mistero dell’arte magica è dunque alla portata di Lucio e lo strumento per avvicinarlo si presenta nelle seducente forma della servetta di Milone, Fotide, che di Lucio diviene l’amante. E’ lei infatti che gli permette di assistere, non visto, ad un incantesimo della maga: con un unguento essa diviene un gufo e vola attraverso la notte. Questa è l’occasione che il protagonista aspetta per sperimentare l’ebbrezza del volo, ma soprattutto quella della metamorfosi magica.
Fotide in nome di quell’amore sensuale che la unisce a Lucio e che li rende compagni nel nome di Venere “gladiatrice” (II, 15) procura all’amante l’unguento, ma nella fretta compie l’errore che imprime un corso tutto nuovo alla narrazione. A Lucio non spuntano piume leggere ma peli robusti, né le sue braccia diventano ali, ma zampe dalle dita saldate in un unico zoccolo ed egli si trasforma in un asino dotato di intelletto, ma non della parola per esprimerlo.

L’ansia di conoscenza, elemento fondante dell’humanitas (essenza dell’uomo), sembra condannare il protagonista alla degradante esperienza di una bestialità consapevole. Sotto la forma del più stupido degli animali egli precipita nel fluire della vita conoscendone il dolore e la degradazione, la violenza e la perversione. Lucio, per recuperare l’aspetto umano, deve procurarsi delle rose da masticare, ma durante la notte dei ladri entrati in casa di Milone lo portano via per trasportare il bottino. Iniziano quindi le peripezie dell’asino-Lucio che diviene spettatore silenzioso e indisturbato degli accadimenti più disparati: la presenza di un animale infatti passa sempre inosservata.

La leggerezza e il senso divertito della vita che caratterizzano il personaggio Lucio nella prima parte della narrazione evolvono necessariamente in un atteggiamento nuovo, di maggiore e più profonda comprensione della realtà.

Quello che spingeva Lucio ad avvicinarsi all’arte magica si rivela essere la curiositas, un sentimento ancora leggero e superficiale che si attua nel voler “rubare”, nascosto alla vista di Panfile, l’esperienza della magia.
Egli si macchia quindi di un delitto grave, quello cioè di volere, con l’inganno di un’arte umana, dominare il mondo del divino.

Alla colpa deve seguire un’espiazione che dovrà portare Lucio ad una forma di conoscenza profonda e vera che, attraverso la saggezza e la virtù morale, possa esaltare l’ideale dell’humanitas.
Questa espiazione è quindi anche un dono, perché attraverso un simile faticoso e doloroso percorso la prospettiva del protagonista diviene più profonda e matura e tale da cogliere nel suo intimo l’idea di un’unità che raccolga la varietà del reale e che si svela come percezione del senso del divino. Egli fugge dal confuso susseguirsi e accavallarsi degli eventi per rifugiarsi nella solitudine di una spiaggia bagnata dal mare Egeo e “nel silenzio della notte, nel mistero di quella solitudine sente “la sovrana maestà della Dea”, riconosce “che tutte le vicende umane sono governate dalla sua provvidenza” (XI,1).

La Dea contiene in sé quel principio femminile che trova, a seconda dei popoli, un’espressione nelle sue varie rappresentazioni di Minerva, Venere, Diana, Proserpina, Cerere, Giunone, Ecate…ma che “i popoli che il sole nascente rischiara coi suoi primi raggi, cioè gli Etiopi e gli Egizi, d’antica sapienza,” chiamano con il vero nome di Iside Regina.

E’ lei “madre di tutte le cose, signora di tutti gli elementi, principio di tutte le generazioni nei secoli…” che rivela a Lucio la via per riprendere insieme alla forma umana anche la sua essenza di uomo, la sua humanitas appunto.

Ambra Antonelli –  16 agosto 2008