Il fico, ovvero l’albero della conoscenza del bene e del male
Il Signore Iddio piantò l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male al centro del giardino di Eden, ordinando ad Adamo ed Eva di non mangiarne i frutti, se non volevano morire.
Nella narrazione biblica riguardante gli episodi del peccato originale e della cacciata da Eden, si fa riferimento a misteriosi frutti, non meglio identificati, che Eva avrebbe raccolto su invito del serpente e che poi avrebbe offerto ad Adamo.
Di quale frutto potrebbe trattarsi?
In una versione latina del Vecchio Testamento era riportato il termine pomum per indicare il frutto raccolto da Eva. Tale termine, tradotto come mela, in senso più generale indica però un generico frutto e nessuno in particolare.
Fu dunque un banale malinteso sul doppio senso della parola latina pomum, a far nascere e radicare la convinzione che il “frutto proibito” fosse proprio una mela!
Eppure nel corso del medioevo tutti sapevano che il frutto in questione era in realtà un fico, il dolce e succoso frutto estivo che simbolicamente rimanda all’idea di fertilità e abbondanza nonché alla sfera della sessualità.
Un albero mitico, quello del fico, tanto che fu protagonista anche nella leggenda di fondazione di Roma: è infatti un fico l’albero che ritroviamo sacralizzato nello spazio del foro. Nome scientifico: ficus ruminalis, che pare derivi dal latino ruma, ovvero mammella. Se spezzato in una qualsiasi delle sue parti, quest’ albero produce un liquido bianco, simile al latte, che richiama anche visivamente l’idea di maternità e nutrimento, di riproduzione e fertilità…
Nella cultura giudaico cristiana il fico, in qualità di “albero che allatta”, finì per assumere una connotazione simbolica legata all’istinto e alla tentazione, quindi a una sessualità colpevole, evidente nel concetto biblico di caduta da uno stato di grazia ad uno stato di colpa e di espiazione.
E’ davvero interessante scoprire che l’uomo e la donna del medioevo erano ancora a conoscenza di questa visione simbolica, e che fu solo nei secoli successivi al XIV secolo che la mela finì per prendere il posto del fico nel giardino di Eden.
Che l’albero della conoscenza del bene e del male fosse un albero carico di fichi e non di mele, è confermato anche da molte opere d’arte di età tardo medievale che si sono conservate fino a noi.
Osservando i rilievi che Lorenzo Maitani scolpì all’inizio del ‘300 sulla facciata del duomo di Orvieto, scopriamo un gusto narrativo altamente naturalistico in cui i dettagli furono riprodotti con massima cura e con grande realismo. Le foglie e i frutti dell’albero incriminato sono rappresentati nei minimi dettagli: si tratta di un fico, non vi è alcun dubbio. Troviamo la stessa pianta in due distinte scene del primo pilastro, laddove vengono raccontati gli episodi del ciclo della Genesi: in una scena si vede Dio Padre con il dito puntato verso Adamo ed Eva: è l’episodio in cui viene ordinato al primo uomo e alla prima donna di cibarsi di ogni frutto tranne quelli dell’albero posto al centro del giardino. Nella seconda scena si vede ancora il medesimo albero sul cui tronco sta attorcigliato il serpente che guarda verso Eva. Quest’ultima tende il proprio braccio ed offre ad Adamo il frutto proibito che li avrebbe resi entrambi simili a Dio.
Nella scena del peccato originale scolpita a rilievo da Lorenzo Maitani vi è anche un curioso particolare: alla base della pianta si nota l’immagine di un ottagono da cui fuoriescono quattro corsi d’acqua. Si tratta a mio avviso del simbolo del fiume paradisiaco creato da Dio per irrigare il giardino di Eden: un fiume che come riferisce il testo biblico “si divideva per formare quattro corsi” (Genesi 2,10). La sua acqua, simbolo di vita eterna e purezza, non è più presente nella successiva scena in cui è nuovamente rappresentato il fico. Al posto dell’acqua troviamo qui l’elemento fuoco: le fiamme divampano in tutto il giardino, ementre un angelo con la spada sguainata ne diviene il guardiano. La scena ben rappresenta il testo biblico della “cacciata dal paradiso”: “Il Signore Dio lo scacciò … e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire la via all’albero della vita” (Genesi 3,23).
Se non bastasse l’iconografia del periodo tardomedievale a confermare la vera identità dell’albero della caduta, ecco che anche i testi apocrifi riguardanti la vicenda di Adamo vengono in nostro aiuto. Nell’apocrifo del Vecchio Testamento noto come “Apocalisse di Mosè”, così viene infatti descritto l’incontro tra la prima donna e il serpente: “…Curvato il ramo fino a terra, presi del frutto e ne mangiai”. A parlare in prima persona è Eva che così prosegue:
“E in quello stesso istante mi si aprirono gli occhi e mi accorsi che ero nuda della giustizia di cui (prima) ero rivestita…. (il serpente nel frattempo) era sceso dall’albero e si era dileguato . Quanto a me, cercavo nella mia parte (di paradiso) delle foglie con cui coprirmi la pudenda, ma non ne trovai sugli alberi del paradiso, giacché non appena ne avevo mangiato, tutti gli alberi (che si trovavano) nella mia parte avevano perso le foglie, ad eccezione di uno solo, il fico. Presene delle foglie, me ne feci delle coperture, e si trattava degli stessi alberi dei quali avevo mangiato”.
di Antonella Bazzoli – 4 luglio 2011, aggiornato a marzo 2017
Bibliografia: Apocalisse di Mosé, C.Tischendorf, Apocalypses Apocryphae, Lipsia, 1866 (ristampa: Hildesheim, 1966)