Migrazioni d’autunno
Ripropongo ai lettori di Evus questo articolo, purtroppo ancora tristemente attuale…
Uomini e donne disperati, pronti a perdere tutto, persino a rischiare la propria vita e quella dei propri figli in un viaggio per mare, costoso e pericoloso, a bordo di barconi insicuri, sovraccarichi di fuggitivi. Sono i profughi africani che non avendo ormai più nulla da perdere se non la propria vita, inseguono un’ultima speranza, quella di riuscire a sbarcare sulle nostre coste, consapevoli del rischio che corrono, consapevoli che molti di loro non ce la faranno.
L’ultima tragedia si è consumata solo poche ore fa: un barcone di circa 250 migranti si è capovolto e le persone a bordo sono finite in acqua. Il primo bilancio, secondo l’Ansa, è di 34 morti, tra i quali anche bambini!
Ed è nuovamente emergenza, un’emergenza che va assolutamente affrontata a livello europeo, senza perdere altro tempo, il che equivarrebbe a perdere altre vite umane!
Non è facile analizzare e comprendere le ragioni di un fenomeno migratorio come quello cui stiamo assistendo negli ultimi anni, un fenomeno che ci vede coinvolti sia politicamente che emotivamente, come italiani e come cittadini europei. E’ evidente che fuggire verso un paese straniero, lasciando la propria terra, la propria cultura d’origine e soprattutto rischiando la propria vita in mare, è un rischio che è pronto a correre solo chi non ha più nulla da perdere e solo chi coltiva ancora una piccola speranza di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei propri figli.
Proviamo a spostare la nostra attenzione verso la storia passata, per cercare di capire cosa significasse un tempo la parola “migrare”.
Guardando alla storia più recente scopriremo che tra il 1860 e il 1985 sono state registrate più di 10 milioni di partenze dall’Italia! Molti furono anche gli italiani che alla fine del XIX secolo emigrarono verso l’Africa, in particolar modo verso la Tunisia, il Marocco e l’Egitto, oppure verso quelle che erano le colonie italiane della Libia e dell’Eritrea.
Essere disposti a lasciare la propria terra d’origine per dirigersi verso un paese sconosciuto, verso nuove terre in cui insediarsi per ricominciare una nuova vita, è infatti un fenomeno sempre esistito, che tuttavia non va confuso con il nomadismo, seppure anch’esso – proprio come la migrazione da una terra all’altra – sia un fenomeno antico quanto l’uomo.
Un fenomeno noto, addirittura, già ai tempi dei nostri antenati italici e degli etruschi, quel popolo che, come è noto, si è evoluto tra il IX e il III secolo a.C. nelle regioni del centro Italia.
Augurandoci che riflettere sul passato possa aiutarci a migliorare il nostro presente, riproponiamo ai lettori di Evus due articoli che indirettamente affrontano un tema comune: le migrazioni al tempo degli etruschi.
Nel primo contributo si prende in esame il sarcofago dello Sperandio sul cui fronte fu scolpito a rilievo un dettagliato corteo di uomini e animali. Il soggetto sembrerebbe rappresentare una vera e propria migrazione di un gruppo sociale, forse un ver sacrum, fenomeno migratorio di tipo rituale che, per ovvie ragioni climatiche, si svolgeva anticamente in primavera. La migrazione riguardava generalmente solo la popolazione più giovane che se ne andava volontariamente dalla propria terra, o a causa di un’eccessiva densità di popolazione che avrebbe messo a rischio la sopravvivenza della comunità, o in seguito a un periodo di carestia, o a causa di altri eventi catastrofici naturali che avrebbero messo a rischio la vita dell’intero gruppo di appartenenza se parte di esso non fosse migrato in altre terre.
Nel secondo articolo, invece, proponiamo l’analisi testuale di un‘iscrizione etrusca ritrovata a 50 chilometri a sudest di Cartagine, nell’attuale Tunisia, che confermerebbe l’avvenuta migrazione di un gruppo di fuggiaschi etruschi provenienti da Chiusi nel I sec. a.C., se non addirittura addirittura la migrazione di un gruppo di imprenditori agricoli che sarebbero giunti in Africa nel III secolo a.C. per colonizzare una vasta area di territorio nordafricano.
Antonella Bazzoli – 12 ottobre 2013