Maggio lucano: l’abbattimento della “cima”
Parto da San Costantino Albanese per Accettura, attraversando una Basilicata molto diversa dalla quella che abitualmente frequento: le fiumare, i calanchi, gli arbusti bassi, il sole che brucia, anche la mattina presto, le colline pressoché deserte di case e di gente, i pochi alberi a memoria delle foreste che furono. Osservo questa terra che sembra così ingrata verso i suoi abitanti, ma penso anche quanto poco siamo stati gentili con lei per meritarci trattamenti migliori.
Così, quando arrivo presso Stigliano, il paesaggio torna ad essere fresco e familiare: i boschi di roverella, farnia, farnetto e cerro, il tripudio delle querce. Saliamo verso il bosco di Gallipoli-Cognato e seguendo un corteo di gente, che sa dove andare e cosa fare, penetriamo la selva, via via sempre più fitta e selvaggia. Stanno cercando un “frusci”, così chiamano in dialetto l’agrifoglio (ilex aquifolium), una pianta bella, verde, primitiva e rara: sembra quasi che solo in Basilicata sia tenacemente resistita ai cambiamenti climatici ed al naturale corso dell’evoluzione, che vuole sempre l’affermazione dei ‘nuovi’.
Trovato il maestoso esemplare di agrifoglio, inizia rapido, senza indugi e senza ritualità, l’abbattimento della cosiddetta “cima”.
Nel frattempo alcune persone si preparano dei bastoni con poche fronde, le cosiddette “mazze”, una sorta di vessillo vegetale raffigurante in miniatura la “cima”, e le “Croccette” che rappresentano in piccolo la “croccia”, un rude attrezzo utilizzato per coadiuvare il trasporto della “cima”.
Sulla strada più larga e più comoda, la ‘cima’ viene trasportata con l’ausilio delle “varre”, robusti pali che infilati sotto di essa fungono da portantina. Comincia così il viaggio veloce e faticoso, accompagnato dalle piccole bande di ‘musica bassa’ verso Accettura. Dapprima in salita, tra la vegetazione intricata ed infine lungo l’agevole strada sterrata che offre un panorama mozzafiato sulle Dolomiti lucane.
Il tutto avviene tra urla, canti, suoni di strumenti a fiato e percussioni, ma senza mortaretti.
Sembra di essere nel bel mezzo di un rito di esorcizzazione della foresta. Sembra che si voglia domare la bestia che i boschi nascondono, catturarla, portarla via, addomesticarla, dimostrare che i remoti accessi alla montagna non rappresentano un pericolo per questo popolo di montanari.
Arrivati in paese il corteo, che nel frattempo è cresciuto soprattutto di giovani, si avventura su alcune strade del paese, sempre al ritmo delle percussioni, ballando, urlando, correndo, con le magliette completamente “strazzate”. Sembra di assistere ad un rito di iniziazione giovanile, terminato con successo.
In piazza la “cima” viene innalzata temporaneamente e molti giovani salgono sulla sua chioma con la bramosia di un cavaliere che non vede l’ora di domare il suo stallone.
Nel frattempo raggiunge l’abitato anche il “majo”, un colossale albero di cerro trascinato da decine di coppie di buoi. I buoi, aggiogati, vengono disposti lungo il tronco ed uniti a quest’ultimo con una catena.
L’albero è rivolto con la parte sommitale in avanti, in modo da fare meno attrito possibile. Gli animali vengono trattati con una violenza inaudita, qualche volta anche gratuita, per indurli ad una fatica titanica.
Spesso si osservano persone a dorso di bue seguire il trasporto. Qua e là vengono distribuite le tipiche “zeppole” fatte in casa. Da non perdere i cosiddetti “canti a zampogna”. Non appena una zampogna inizia la sua armonica nenia, vecchi e giovano si avvicinano, intonando strofe di saluto, d’ amore, d’augurio e di sbeffeggiamento.
La festa del Majo è dedicata a San Giuliano, santo dalla controversa storia personale, cacciatore, guerriero, patricida, dall’indole violenta, esempio di redenzione: non poteva esserci santo più adatto per questa festa, caratterizzata da una fortissima tensione emotiva. Sull’elmo tre penne che sembrano ricordare le immagini dei guerrieri lucani di Paestum.
L’arrivo in paese del “majo” e della “cima” avviene il giorno di pentecoste, mentre il taglio del “majo” si tiene tradizionalmente la domenica precedente (ascensione). Il martedì successivo i due giganti arborei verranno “maritati” ed eretti nella piazza del paese.
di Giuseppe Cosenza – maggio 2008