Il cavaspina sotto il segno dei pesci
Come evidenzia il termine “December” che deriva dal latino “decem” (ovvero dieci), il mese di Dicembre era l’ultimo del calendario romuleo in uso nella Roma antica.
Al tempo della fondazione di Roma i due mesi di Gennaio a Febbraio non esistevano ancora, se non come periodo di passaggio, se non intervallo temporale tra il vecchio e il nuovo anno in attesa di marzo, mese che segnava l’inizio del nuovo anno solare.
Febbraio, in particolare, era ritenuto il periodo adatto a prepararsi e purificarsi in attesa della primavera imminente. Un tempo propizio ai rituali di espiazione, come indica il termine februum (da cui Febbraio deriva), che fa riferimento ad arcaici riti di purificazione e lustrazione della città .
Il significato simbolico e allegorico del mese di Febbraio nell’antichità viene in seguito ereditato dalla cultura medievale, come dimostrano i molti cicli calendariali del basso medioevo, in particolare quello tardo duecentesco rappresentato nel bacino inferiore della Fontana Maggiore di Perugia.
In corrispondenza dei ventiquattro pannelli scolpiti da Giovanni e Nicola Pisano nel 1278, dove sono rappresentate le personificazioni dei dodici mesi e sono descritte le rispettive attività agricole, troviamo Febbraio dedicato alla pesca: nel primo pannello, sovrastato dal simbolo zodiacale dei Pesci, si vede un pescatore seduto su una roccia che tiene con la destra la canna da pesca. Non siamo sulla riva deò mare, ma sulla sponda del lago Trasimeno.
Nel secondo pannello, anche dedicato a febbraio, vediamo un altro pescatore, il socio come recita l’iscrizione, che sta trasportando sulle spalle una cesta piena di pescato.
Nelle due successive formelle, dedicate al mese di marzo, è descritta la potatura della vite, lavoro tipico del primo mese primaverile, come testimoniano i calendari rustici di età romana che a marzo consigliavano di puntellare le viti, seminare il grano primaverile e potare gli alberi da frutto.
LO SPINARIO
A rendere particolarmente interessante la lettura dei rilievi di marzo sulla fontana medievale di Perugia è la presenza di un personaggio, quanto mai enigmatico e misterioso, raffigurato frontalmente in posizione seduta con la gamba sinistra accavallata sulla destra. Si tratta del cosiddetto cavaspina, noto anche come spinario, figura maschile ritratta nell’atto di prendersi cura del proprio piede.
La figura allegorica del cavaspina è qui la personificazione del primo mese di primavera, come indica chiaramente l’iscrizione “Martius” incisa nella cornice superiore della formella. La scena a rilievo è sovrastata in alto a destra dal simbolo zodiacale dell’ariete. Colpisce l’aspetto del cavaspina, scapigliato e un po’ selvaggio, ed è evidente che l’uomo seduto si sta prendendo cura del piede sinistro, dopo averlo tolto dalla scarpa (che si vede a terra) e averlo appoggiato nudo sulla coscia destra.
Quale sia lo scopo della “pulizia” del piede è difficile dirlo: forse Marzo vuole liberarsi dalle impurità e dalle callosità formatesi durante l’inverno? o forse vuole estrarre una spina penetrata nel piede, come sembra suggerire l’etimologia dei termini spinario e cavaspina.
Il soggetto allegorico del cavaspina di Perugia risale alla seconda metà del XIII secolo, ma deriva iconograficamente da un soggetto molto antico, già diffuso nell’arte scultorea di età classica. Mi riferisco al cosiddetto spinario un cui esemplare troviamo esposto nei Musei Capitolini a Roma: una scultura in bronzo che rappresenta un fanciullo nudo (forse un giovane pastore?), seduto su una roccia e proteso in avanti nell’atto di prendersi cura del proprio piede sinistro. Forse anche in questo caso il giovane sta cercando di estrarre una fastidiosa spina dal piede? La figura a tutto tondo di età classica e il rilievo medievale scolpito da Giovanni Pisano molti secoli dopo per il bacino inferiore della fontana perugina, presentano vari elementi in comune.
Ciò che sorprende non è solo la corrispondenza nell’azione di estrarre la spina dal piede, ma anche la natura libera e istintiva che si palesa nell’immagine del cavaspina medievale, così come in quella dello spinario di età classica, le cui ciocche di capelli cadono ribelli sulla fronte e sulle tempie.
Anche il personaggio medievale di Perugia, la cui la testa è reclinata sulla spalla destra, presenta una capigliatura dalle lunghe ciocche, scomposte e ribelli, quasi a voler sottolineare la natura istintiva e selvaggia del periodo di passaggio che va da gennaio a marzo.
Non stupisce vedere protagoniste della scena le due parti terminali ed opposte del corpo: il piede da un lato, che necessita di attenzioni e di cure, e la sommità del capo dall’altro, con i capelli scomposti, arruffati, mossi dal vento. Siamo nel critico periodo transitorio che caratterizza l’avvicinarsi della primavera, tempo che preannuncia, dopo il superamento del buio invernale, il ritorno della luce e la rinascita della natura.
Interessante è a mio avviso anche il confronto con un altro cavaspina di età medievale, più antico di quello perugino di circa un secolo, che troviamo rappresentato nel grande mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto: anche qui il soggetto è associato al mese di marzo, ma a differenza del personaggio della Fontana Maggiore, che è vestito ed è accostato al segno zodiacale dell’Ariete, il cavaspina di Otranto è nudo ed è associato al segno dei Pesci. Il diverso simbolo dello zodiaco si spiega peraltro facilmente, considerando che il passaggio del Sole nella costellazione dei Pesci avviene tra il 20 febbraio e il 20 marzo, dunque a cavallo tra i due mesi.
Approfondendo ulteriormente l’iconografia del cavaspina, mi viene da pensare che i piedi, parte terminale del corpo, sono gli unici organi a contatto diretto con la terra. La loro importanza da un punto di vista simbolico si comprende meglio tenendo presente che essi sono per l’uomo l’ unico punto d’appoggio al suolo, la base che sorregge l’intero corpo. I piedi ci consentono di muoverci in avanti, ovvero di procedere, ma anche di bloccare i nostri movimenti, ovvero di restare fermi. Come non pensare alla metafora del passaggio dal vecchio al nuovo anno che avviene tra febbraio e marzo.
I piedi rappresentano inoltre la parte anatomica più vulnerabile, non a caso considerata in vari miti quale simbolo di prova e sacrificio (pensiamo al tallone di Achille). Curiosa coincidenza scoprire che l’astrologia, nell’associare ad ogni segno dello zodiaco una diversa parte del corpo, faccia corrispondere ai piedi la costellazione dei Pesci.
Sotto quest’ottica il cavaspina di Otranto, con i due pesci che lo sovrastano, assume un significato allegorico ancor più sottile: pulirsi i piedi, ed estrarne una spina, può significare metaforicamente liberarsi da impurità e vecchie scorie per prepararsi ad un contatto rinnovato con la natura e con la nuova stagione. Predisporsi insomma, anche fisicamente, ad accogliere il nuovo anno in vista del ritorno di quel ritmo lavorativo agreste che avrà di nuovo inizio a primavera.
Alla luce di tutto ciò si può comprendere perchè il periodo dell’anno che va da febbraio a marzo fosse considerato propizio per liberarsi dalle impurità accumulate nei mesi invernali e purificarsi in attesa del ritorno della luce. Non a caso a febbraio si svolgevano anticamente molti rituali di purificazione, come ad esempio i festeggiamenti dei Lupercalia celebrati nell’antica Roma il 15 febbraio.
Potrebbe infine sembrare ardito, ma non per questo meno interessante, tentare di dare un significato allegorico e psicologico alle opposte direzioni in cui nuotano i due pesci dello Zodiaco (raffigurati rispettivamente nel mese di marzo a Otranto e nel mese di febbraio a Perugia).
Le diverse direzioni dei due pesci potrebbero voler alludere alla distanza incolmabile tra ragione ed istinto, in altre parole al conflitto insuperabile tra l’io e l’es, quasi a ribadire ancora una volta il duplice e per certi versi contraddittorio carattere del mese di febbraio che, se da un lato ha un carattere espiatorio e purificatorio, dall’altro si mostra disordinato, caotico e istintivo.