Maggio, il mese dell’amor cortese
Giovanni e Nicola Pisano dovevano avere bene in mente i romanzi d’ amor cortese di Chretien de Troyes, quando nel 1278 scolpirono a rilievo le due formelle del mese di maggio sulla Fontana Maggiore di Perugia.
Tra i soggetti del ciclo dei mesi presenti nella vasca inferiore c’è anche la personificazione allegorica del mese di maggio, rappresentata su due pannelli nelle vesti di una giovane coppia di sposi a cavallo.
La dama del mese di maggio è una sposa velata, raffigurata frontalmente, mentre cavalca con entrambe le gambe da un lato , con uno sparviero nella mano sinistra ed un frustino nella destra.
Appare sicura di sé mentre si volta indietro a guardare il suo sposo. Lui è un cavaliere che sembra uscito da una scena d’amor cortese, tiene in mano tre simboliche rose e cavalca cercando di tenere a freno un destriero scalpitante.
La dama riveste un preciso ruolo sociale: è una uxor, ovvero una sposa. Non sta seguendo il proprio cavaliere, al contrario lo sta precedendo e guidando, sfatando quel fuorviante luogo comune che vorrebbe la donna medievale sottomessa all’uomo, priva di ruoli rilevanti nella società di età comunale.
L’iconografia delle due formelle di maggio allude chiaramente all’ideale cavalleresco del tardo medioevo cristiano.
La presenza del falco, unitamente a quella del cagnolino che gioca saltellando tra gli zoccoli del cavallo, evoca una scena di caccia. Lo sparviero, in particolare, è simbolo di purezza, bellezza e saggezza nell’immaginario del tardo medioevo, ed è per questo che questo rapace si vede spesso raffigurato in mano a figure femminili nelle opere d’arte di XII e XIII secolo.
Osservando attentamente le formelle del mese di maggio, mi tornano in mente certe usanze cavalleresche, come quella della caccia al cervo bianco e della gara con lo sparviero che vengono descritte da Chretien de Troyes nel suo romanzo “Erec et Enide”.
Nei dettagli di questo capolavoro scultoreo del XIII secolo, sembrano dunque riaffiorare suggestioni poetiche della letteratura cortese dei trobadori del fin amor, in particolare echi di racconti cavallereschi su tornei, gare di caccia e altre consuetudini che si svolgevano per tradizione proprio nei mesi primaverili di aprile e di maggio.
Infine, seppure con immagini più sfocate perché ancor più remote, questi rilievi medievali mi fanno pensare a quegli arcaici giochi teatrali di caccia simulata che sappiamo essersi svolti anticamente a Roma, in occasione dei festeggiamenti di maggio noti come Floralia .
Vi fa riferimento il poeta Ovidio, nella sua opera I Fasti, laddove si rivolge alla dea Flora ponendole questa domanda: “Perché nei giochi in tuo onore si catturano con la rete pacifiche capre e timorose lepri invece di libiche leonesse?” La dea risponde al poeta spiegando che “a lei non erano assegnate le selve, ma i giardini e i campi, ove non devono certo entrare pugnaci belve” (V 371-374).
Celebrata dal 28 di aprile al 3 di maggio, Flora era la dea dei giardini in fiore, la protettrice degli amori giovanili, e nel calendario religioso di Roma antica rappresentava la rinascita primaverile.
“Assistimi o madre dei fiori, da celebrarsi con gradevoli giochi… cominci in aprile ma passi nei giorni di maggio: ti possiede il primo in fuga, il secondo in arrivo”, scrive ancora Ovidio rivolgendosi alla dea (Fasti, V 183-186). “Ella non è divinità seriosa, non promette grandi cose, vuole che le sue feste si aprano a compagnie plebee ed esorta a godere della bellezza della gioventù, finché essa è in fiore, ammonendoci che siano spregiate le spine, quando appassiscono le rose” (Fasti, V 351-354). Quasi un inno al “carpe diem” e alla leggerezza, quasi un elogio della giovinezza e della capacità di vivere il presente in tutta la sua fugace bellezza.
Testo e foto di Antonella Bazzoli – 13 aprile 2019