Il culto micaelico da Oriente a Occidente

Il culto per l’arcangelo Michele cominciò a diffondersi in Oriente nel corso del IV secolo, prima nelle regioni dell’ Asia Minore e in seguito in quelle della Palestina e dell’Egitto.
Le apparizioni angeliche  attestate in Frigia sono quasi sempre collegate o alla nascita di un fiume o alle proprietà miracolose di acque terapeutiche. Molti santuari vennero dedicati all’arcangelo a Costantinopoli  già nei primi secoli dell’era cristiana .
Sozomeno, uno storico vissuto nel V secolo, riferisce che coloro che avevano problemi di salute si radunavano nel  Sosthenion, il famoso santuario fatto costruire dall’imperatore Costantino dove si praticava l’incubatio. Questo antico rituale  consisteva nel trascorrere tutta la notte all’interno dell’edificio sacro, in attesa della visione angelica che avrebbe annunciato al malato l’avvenuta guarigione.
Come notava il compianto studioso umbro Mario Sensi, i poteri taumaturgici dell’arcangelo Michele, associati quasi sempre alle proprietà curative di acque ritenute miracolose, troverebbe corrispondenza nell’episodio dal vangelo di Giovanni, il quale parlando della piscina di Gerusalemme situata presso la Porta delle Pecore, riferiva che zoppi e paralitici vi si riunivano per vedere apparire l’ angelo che “in certi momenti discendeva e agitava l’acqua e il primo ad entrarvi guariva da qualsiasi malattia fosse affetto” (cfr. Giovanni, 5, 1 – 4) .

La Sacra di San Michele in Val di Susa era nel medioevo un’importante meta di pellegrinaggio

La figura dell’arcangelo taumaturgo riuscì così ad assorbire sincreticamente le tradizioni religiose preesistenti, soprattutto nel suo ruolo universale di intermediario tra Dio e gli uomini,che era appartenuto precedentemente a vari eroi mitologici e a divinità precristiane.
Fu così che il culto micaelico si sovrappose ad esempio ad antichi culti iatrici nel sud d’Italia, come quello attestato nel Gargano per il veggente omerico Calcante e per Podalirio, figlio di Asclepio.
In Asia Minore fu invece il culto per Cibele e Attis ad essere sostituito da quello per l’arcangelo Michele.
Sempre attraverso lo stesso processo sincretico, l’arcangelo assorbì il culto per il dio taumaturgo Asclepio, a Costantinopoli, e quello per l’Ercole guerriero molto diffuso tra le popolazioni italiche.
In alcuni territori dell’occidente cristiano si conservano ancora vari nomi di località che testimoniano l’esistenza di culti preesistenti a, come ad esempio il toponimo di Sant’Angelo in Mercole, vicino a Spoleto , o quello di Saint Michel Mont Mercure nella Loira, nomi di località che attestano inequivocabilmente un precedente culto tributato al dio Mercurio.

Così, nei secoli in cui Gerusalemme e Roma vivevano il grande rinnovamento architettonico che le avrebbe rese entrambe principali mete del pellegrinaggio medievale, la fama di Mikael come arcangelo guaritore e come mediatore celeste, continuò a diffondersi sia in Oriente che in Occidente, in particolare in quelle zone in cui si faceva sentire maggiormente l’influenza dell’impero bizantino, in seguito al crollo dell’Impero romano.
E poiché il culto micaelico veniva spesso associato anche ad eventi epifanici e ad episodi ritenuti miracolosi, molti santuari dedicati all’arcangelo cominciarono a sorgere anche sulla cima di alture e nei pressi di grotte e sorgenti terapeutiche.
Così ad esempio, sul promontorio garganico, si narra che l’arcangelo sia apparso in sogno al vescovo di Siponto alla fine del V secolo, ordinandogli di erigere un santuario micaelico presso la grotta in cui si era verificato l’ episodio miracoloso della freccia scoccata da un mandriano che anziché colpire il suo toro scappato, era tornata indietro ferendo l’uomo ad un occhio [1]

8 maggio 492: la freccia contro il toro torna indietro e ferisce il mandriano che l’ha scagliata (foto A. Bazzoli)

La grotta santuario garganica divenne una delle più importanti mete di pellegrinaggio d’Europa, frequentata dai devoti per ottenere guarigioni tramite la stilla miracolosa, e per ricevere la remissione dei peccati.
Ugualmente famoso e frequentatissimo dai pellegrini di tutta Europa, divenne il santuario di Mont Saint Michel in Normandia, costruito  nel 709 nel luogo in cui l’arcangelo era apparso al vescovo Oberto.
Esattamente a metà strada tra il santuario pugliese e il santuario a nord della Francia, sorse nel X secolo il monastero benedettino di San Michele della Chiusa, situato in posizione strategica e dominante sulla Val di Susa.
Sempre legato al culto per l’arcangelo Michele è anche il suggestivo edificio a pianta centrale che si trova a Chiusdino, in provincia di Siena, nei pressi dell’abbazia cistercense di San Galgano. La  costruzione della chiesa tonda del XII secolo si lega ad un sogno iniziatico del cavaliere Galgano, al quale l’arcangelo avrebbe indicato il luogo su cui fondare l’edificio, al cui interno si conserva ancora oggi la leggendaria spada nella roccia di San Galgano [2] .
Il culto per Mikael si diffuse in Italia, soprattutto tra V e VI secolo, per influenza della cultura bizantina, e la devozione per il principe degli angeli non venne meno neanche durante le invasioni dei Longobardi, i quali invocavano pure l’arcangelo guerriero. Il duca di Benevento Grimoaldo, ad esempio, attribuì  la propria vittoria sui Bizantini al miracoloso intervento dell’Arcangelo, la cui Michele fu addirittura coniata sulle monete della nazione longobarda da re Cuniperto alla fine del VII secolo.

L’edificio del XII secolo si lega alla leggenda di Galgano e alla spada nella roccia conservata al suo interno (foto A. Bazzoli)

Non deve dunque stupire la grande quantità di chiese, oratori, cappelle e santuari dedicati all’arcangelo Michele, lungo le principali vie di comunicazione dell’alto medioevo, e lungo i tratturi appenninici che fin dall’antichità erano stati frequentati dai pastori transumanti in cerca di pascoli per le loro greggi.
Non è certo un caso che vi siano due le festività dedicate all’arcangelo Michele, celebrate rispettivamente l’8  maggio e il 29  settembre, date che peraltro coincidono con l’apertura e la chiusura del periodo della transumanza!
Nel corso del medioevo erano numerosissimi i pellegrini che attraversavano le cosiddette “vie dell’Angelo”, vuoi per ottenere grazie e guarigioni, vuoi ancor più frequentemente per ottenere il perdono dei peccati.
Tanta fu la devozione per l’arcangelo Michele che molti fedeli, nell’impossibilità di andare di persona in pellegrinaggio, presero ad assoldare “pellegrini vicari” i quali per due fiorini si recavano al Gargano, per un fiorino e mezzo andavano fino a Roma, e per un solo fiorino erano disposti a recarsi al santuario di Loreto. In tal modo si poteva ottenere l’indulgenza anche per procura!

L’arcangelo Michele si contende le anime dei defunti con il demonio (foto A. Bazzoli)

Mikael diventò presto un punto di riferimento per tutti i popoli e per tutti i ceti sociali: i soldati e i cavalieri riconoscevano in lui l’archistratega delle milizie celesti, che li avrebbe protetti in battaglia e guidati alla vittoria.
I pastori e gli agricoltori veneravano l’arcangelo a protezione dei raccolti e lo invocavano per guarire uomini e animali.
Anche gli artigiani e i mercanti vedevano in Mikael il custode delle anime e il medico dei corpi; e tutti lo consideravano il mediatore celeste per eccellenza. Persino le autorità cittadine si rivolgevano a lui come garante dell’autonomia comunale.
Così la fama dell’arcangelo guerriero continuò a diffondersi sempre più ovunque, dal sud al nord lungo tutta l’Europa cristiana, indipendentemente dalle differenze culturali, etniche e sociali di popoli e culture.
Nella sua funzione di intermediario tra Dio e gli uomini, Michele era indubbiamente la figura più adatta a rappresentare i molteplici bisogni  e le richieste di uomini e donne, e a recepire le più diversificate aspettative dei devoti e dei pellegrini.
Molti dei santuari paleocristiani che erano stati intitolati in origine a Michele Arcangelo furono successivamente dedicati a Maria o a santi locali, rendendo così difficile ricostruire la mappa dei luoghi sacri sulle tracce del culto micaelico.
Difficile è  anche individuare con certezza i numerosi santuari micaelici che vennero costruiti “ad instar”, cioè ad imitazione di un prototipo architettonico di riferimento.
Una cosa è certa: ogni città che nel medioevo edificò un santuario al Sant’Angelo, divenne ricca e famosa anche attirando il pellegrinaggio micaelico nel proprio territorio.
Fu per questo motivo che si cominciarono a consacrare altari nei nuovi santuari edificati ad instar, attraverso quello che è stato definito  un transfert di sacralità: dal momento che la natura angelica non è corporea e che non esistono quindi reliquie da poter venerare, si pensò bene di trasferire piccoli oggetti sacri, dal santuario originale a quello costruito ad instar, ritenendo di trasferire con essi anche i poteri miracolosi attribuiti alle “reliquie” angeliche. Così, ad esempio, una volta giunti in pellegrinaggio al santuario garganico, i devoti usavano raccogliere le scaglie di pietra della grotta o del litorale, da utilizzare poi come amuleti o reliquie, attribuendo a tali oggetti un valore simbolico, sacrale e apotropaico.
I nuovi “santuari copia” intitolati all’arcangelo non sorsero necessariamente ad imitazione dell’architettura del prototipo originale. Più spesso bastava che i nuovi edifici richiamassero singoli aspetti simbolici del luogo ad instar cui si ispiravano, utilizzando ad esempio numeri sacri, misure auree, materiali e dimensioni in grado di esprimere la sacralità e il mistero del divino anche architettonicamente e visivamente.
Così, attraverso le grandi opere edificate nel passato, si cercò di rappresentare simbolicamente il linguaggio divino, come conferma Eusebio di Cesarea, che riferendosi al rinnovamento architettonico di Roma nel IV secolo, ad opera di Milziade[3] (e in particolare alla prima basilica lateranense da lui costruita), definì il vescovo amico di Costantino: “nuovo Salomone, re di una nuova Gerusalemme… che portando nell’anima il nome di Cristo intero, Verbo, Sapienza, Luce ha formato questo magnifico tempio di Dio Altissimo corrispondente nella sua natura al modello di quello che è migliore per quanto il visibile possa corrispondere all’invisibile” (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica X, 4, 3.26)

di Antonella Bazzoli – 29 settembre 2011, aggiornato il 20 aprile 2022


[1] Gargano, così si chiamava il proprietario della mandria al quale era sfuggito un toro, aveva ritrovato l’animale all’ingresso di un antro in cima alla montagna, e gli aveva scagliato contro una freccia che però era tornata miracolosamente indietro ferendolo ad un occhio. Dietro la leggenda si cela forse il mito dell’origine dei Sanniti, popolazione italica fortemente ellenizzata che, costretta ad un ver sacrum da una carestia,  era abndata in cerca di una nuova terra da colonizzare lasciandosi guidare da un toro (vd. Strabone, Greographica, V, 4, 12)
[2]Conficcando la spada nella roccia, che nessuno sarebbe più riuscito ad estrarre, Galgano rinunciò alla vocazione cavalleresca e divenne eremita presso la Rotonda da lui edificata. L’arma medievale è ancora conservata all’interno della chiesa di Montesiepi.
[3] Eletto vescovo nel 310 Milziade fu molto apprezzato da Costantino, che lo chiamava “carissimo” in una lettera del 313 e che gli affidò incarichi molto importanti.
DA LEGGERE:
“Culto e santuari di San Michele nell’Europa medievale: atti del congresso internazionale di studi, Bari, Monte Sant’Angelo, 5-8 aprile 2006” a cura di  P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez , 2007 Edipuglia