A passeggio nel paesaggio
Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, quando Pietro Vannucci detto il Perugino, era ormai all’apice della carriera artistica, Castrum Plebis – l’odierna Città della Pieve – doveva avere un aspetto non molto diverso dall’attuale: lo stesso colore rosso caratterizzava le cortine murarie degli edifici in laterizio, le stesse architetture impreziosivano l’impianto urbanistico del castello.
Proprio come oggi un anfiteatro naturale di dolci colline circondava il borgo, spaziando dal Lago Trasimeno fino alla fertile valle del Chiani. È qui, nella città natale di Pietro Vannucci, che ha inizio il nostro itinerario.
Un percorso che si snoda lungo tracciati minori – un po’ nascosti e ancora poco conosciuti – alla scoperta di quei paesaggi che ci piace immaginare siano stati fonte di ispirazione per il maestro pievese.
Per godere di queste inedite visuali occorre inoltrarsi lungo quelle vie che si aprono tra Perugia e il lago Trasimeno, con tappe obbligate a Panicale e a Città della Pieve. L’esperienza sarà non soltanto visiva, ma anche emotiva. E in ogni caso sarà divertente e stimolante provare a fotografare lungo il percorso, quegli scorci e quelle visuali che potrebbero avere ispirato il maestro Pietro de Castro Plebis.
Il viaggio può essere intrapreso attraverso due modalità, distinte eppur complementari: si può scegliere di immergersi nella natura, prestando attenzione all’ambiente circostante e ricercando lungo il percorso quegli elementi paesaggistici che l’artista era solito inserire nelle proprie produzioni artistiche, per ritrovarli poi, trasfigurati in forma ideale e poetica, nelle opere d’arte autografe che incontreremo lungo le varie tappe.
Oppure si può procedere al contrario: scegliendo di cominciare il viaggio davanti a un’opera del Perugino, per poi stupirsi nel ritrovare lungo il percorso, lo stesso paesaggio, le stesse prospettive, la stessa luce diffusa.
In ogni caso è importante essere disposti a perdersi in quella dimensione infinita dello spazio, che l’artista tanto bene riuscì a rendere nei suoi capolavori. Ma torniamo al borgo natio dell’artista.
Dopo aver ammirato le interessanti opere conservate nella chiesa di S. Maria dei Servi e in cattedrale, si lascia piazza Gramsci in direzione del quartiere Casalino, per arrivare a quella che fu la sede della compagnia dei Disciplinati, dove un tempo sorgeva anche un ospedale. Qui, presso l’oratorio di S. Maria dei Bianchi, Pietro Vannucci realizzò il grande e coloratissimo affresco che ancora oggi copre la parete di fondo. Era il 1504 e il maestro pievese aveva più di cinquanta anni. La scena è affollata da circa una settantina di figure umane e da quasi altrettante figure animali, tra cui cavalieri, cavalli, pastori, greggi, cani di diverse specie e persino dromedari. In primo piano vi è la bellissima scena dell’Adorazione dei Magi, caratterizzata dalla disposizione equilibrata di eleganti figure, avvolte in fastosi abiti rinascimentali dai colori vivaci e dai toni cangianti.
Al centro dell’affresco l’attenzione si focalizza sull’essenziale architettura classica di un’alta tettoia lignea che rappresenta la capanna della natività. La struttura invita l’osservatore a penetrare con lo sguardo in quello scorcio prospettico che si apre all’orizzonte.
Ed eccolo il vero protagonista dell’opera: il vasto paesaggio riprodotto sullo sfondo, così somigliante nei suoi connotati a quelli che s’incontrano lungo il nostro itinerario! Ai lati della capanna ci sono anche alberi altissimi, decisamente sproporzionati rispetto al resto. Sono così diritti e slanciati da sembrare ponti di collegamento tra la terra e il cielo. E i due elementi, il terreno e il celeste, trovano qui un punto d’ incontro anche attraverso il terzo elemento: l’ acqua del Trasimeno che si scorge al centro della scena in una prospettiva quasi infinita.
È un’incredibile esperienza visiva quella che si concede chi, distogliendo lo sguardo dai soggetti in primo piano, cominci a scrutare oltre gli edifici e oltre le figure che riempono la scena, mettendo a fuoco unicamente la natura, il paesaggio e la luce che li avvolge: allora ci si accorge che la visuale ampia e dilatata, è al tempo stesso profonda. Così profonda da sembrare quasi sfondare la parete, tanto realistica è la prospettiva e tridimensionale l’effetto spaziale.
E si possono scoprire dettagli di un sorprendente realismo, non solo negli alberi alti e svettanti che ricordano i nostri ornielli, ma anche nella flora e nella fauna autoctone, nella morfologia dei colli, delle valli e dei monti, nella luce tersa in primo piano e in quella più tenue, quasi crepuscolare, che sfuma in lontananza. È un paesaggio ispirato alla realtà geografica in cui il Perugino nacque e trascorse la sua infanzia. Quasi una fotografia della sua terra d’origine, che egli stesso opportunamente trasfigurò in una visione poetica e contemplativa.
La terra del Perugino si trasforma così nella terra dello spirito, paradiso terrestre dove passioni e pulsioni umane non trovano posto, spazio metafisico che ha il suo modello e il suo cartone in quella terra che s’incontra tra l’Umbria e la Toscana, lungo la strada che da Castiglione del Lago arriva a Perugia deviando per borghi rimasti immutati nel tempo, come quello di Panicale.
Il castello sorge su uno sperone da cui si gode una magnifica visuale, tra colli dalle morbide curve digradanti verso il Trasimeno e la valle del Nestòre. La sensazione è quella di un luogo incontaminato dove l’armonia e la serenità sono di casa. Quella stessa serenità che emana da un’altra importante opera d’arte del Perugino, qui conservata nella chiesa di San Sebastiano.
L’edificio, costruito tra il XIV e il XV secolo, custodisce al suo interno il famoso martirio del santo dipinto nel 1505. La sintesi e l’equilibrio tra l’elemento paesaggistico, quello figurativo e quello architettonico, riescono a trasmettere a chiunque osservi la scena, un sentimento di serena contemplazione che sembra amplificare la sacralità dell’immagine del martire in primo piano. Nonostante le ferite delle frecce, non vi è traccia di sangue sul corpo del santo. Il suo volto è sereno, non tradisce emozioni. Nulla che possa turbare l’armonia dell’insieme.
Oltre l’elegante e monumentale edificio classico alle spalle del martire, si apre un nuovo scorcio paesaggistico, questa volta facilmente identificabile con quello che realmente ci si prospetta, uscendo dalla chiesa e affacciandoci dal balcone panoramico di questo caratteristico borgo medievale.
Anche qui a Panicale si nota che il paesaggio del Perugino è sì ideale, ma non per questo astratto, essendo il risultato di un’attenta osservazione della realtà da parte dell’artista. Una realtà che ritroviamo davanti ai nostri occhi allorché, lasciando Panicale e proseguendo in direzione del Trasimeno, ci imbattiamo in nuovi, ampissimi panorami sul bacino lacustre.
Per effetto dell’umidità prodotta dal lago, ecco che la visuale non è più tersa, e i contorni e i colori sembrano sfumare in lontananza, attraverso tenui passaggi di luci e di ombre. Lo stesso effetto che il Perugino seppe ricreare così bene, stendendo i colori come si trattasse di luci diffuse e velate, o di fasci di luce in grado di ammorbidire i profili delle figure, esaltandone in tal modo l’aspetto più contemplativo ed intimista.
Antonella Bazzoli – 11 ottobre 2008