Erec et Enide. La dama con lo sparviero
Il romanzo cavalleresco “Erec et Enide” fu scritto da Chretien de Troyes tra il 1160 e il 1172, quando il poeta francese viveva a Troyes, presso la corte della contessa Marie de Champagne, la figlia di Eleonora d’Aquitania.
Ripercorriamo la vicenda che vede protagonisti del racconto cavalleresco il prode Erec, cavaliere figlio di Lac, e la bellissima Enide, figlia di un umile valvassore.
Tutto ha inizio alla corte di re Artù, durante il banchetto di Pasqua.
Il re annuncia ai cavalieri presenti che sta per cominciare la tradizionale “caccia al cervo bianco”.
Colui che catturerà la preda in palio, avrà poi l’onore di poter baciare la più bella tra le dame presenti a corte.
Erec decide però di non partecipare alla gara di caccia, scegliendo di restare in compagnia della regina Ginevra e della sua damigella. Così i tre si inoltrano nella foresta, cavalcando fianco a fianco.
Ecco però che a un certo punto sopraggiungono tre personaggi sconosciuti: un cavaliere armato, una nobile fanciulla ed un nano che tiene in mano un flagello annodato.
La regina Ginevra è curiosa di sapere chi siano quei tre, ed invia la propria damigella a fare le presentazioni. I tre però non sembrano conoscere le buone maniere. Con arroganza e sfrontatezza, il nano colpisce la mano della damigella con la frusta annodata, quindi sferza altri colpi sul collo ed sul volto di Erec, sopraggiunto nel frattempo a difendere la giovane colpita. Di fronte a tale onta, Erec preferisce tuttavia non reagire, essendo disarmato e temendo una reazione più violenta da parte del cavaliere che è invece armato. All’affronto del nano il cavaliere di re Artù risponde dunque prudentemente, allontanando dal pericolo la regina e la damigella, e promettendo a Ginevra che inseguirà il vile cavaliere fino a vendicare l’offesa subita, sfidandolo infine a duello.
Ed è così che Erec prende le armi e lascia in fretta la corte di re Artù, annunciando a tutti che tornerà, solo dopo aver vendicato l’affronto, entro il terzo giorno.
Si mette dunque sulle tracce del malvagio cavaliere, del nano e della pulzella, e li ritrova infine presso una città dove sta per cominciare una tradizionale gara con lo sparviero.
Erec, per prepararsi alla vendetta, cerca alloggio in quella città e viene accolto con ospitalità ed amicizia nella casa di un valvassore, il quale vive insieme alla figlia di nome Enide.
Erec se ne innamora a prima vista e decide di presentarsi alla gara accompagnato dalla bellissima fanciulla.
In palio per la più bella c’è un superbo sparviero, simbolo di bellezza, purezza e saggezza.
Il prode cavaliere è intenzionato ad ottenere il rapace, per farne omaggio alla figlia del suo gentile ospite. Sarà così che Erec vendicherà l’onta subita.
Il giorno dopo Erec partecipa alla gara, cavalcando armato di lancia, con a fianco l’avvenente Enide.
Sulla cima di una pertica d’argento è collocato un bellissimo sparviero di cinque o sei mute.
“Chi vuole ottenere il falco – aveva spiegato la sera prima il valvassore al suo giovane amico – dovrà avere un’amante leale, prudente e cortese. Se vi sarà un cavaliere tanto audace da voler sostenere il pregio e la lode riservati alla più bella, farà prendere alla propria amica, sotto gli occhi di tutti, il falco dalla pertica. Se non vi saranno altri che oseranno opporsi, tale è l’usanza e per questo tutti convengono qui ogni anno”.
Ma ecco che, mentre Erec si avvicina alla pertica, un altro pretendente, il malvagio cavaliere della foresta, reclama a sua volta lo sparviero per la propria amante, incitandola ad avvicinarsi alla pertica con queste parole: “Questo sparviero sì mutato e bello vi spetta quale giusto tributo alla vostra grande bellezza e cortesia, e vi apparterrà finché avrò vita. Andate avanti mia cara e sollevate il falco”.
A questo punto interviene Erec, gridando alla pulzella del suo rivale: “Ritiratevi! Vi rallegrerete con un altro uccello, perché a questo non avete diritto. Anche se potrà causare molestia ad alcuno, questo sparviero non sarà mai vostro: lo reclama una damigella superiore a voi, assai più bella e cortese”.
Il malvagio cavaliere va su tutte le furie, ma Erec non lo degna di alcuna considerazione e nel frattempo esorta Enide ad avvicinarsi alla pertica e a sollevare lo sparviero.: “Bella avanzatevi e prendete l’uccello dalla pertica: è giusto che sia vostro. Damigella, venite innanzi. Se alcuno osa farsi avanti, mi faccio vanto di sostenere che, come la luna non è pari al sole, a voi non è pari nessuna per bellezza, per merito, per nobiltà ed onore”.
Lo scontro tra i due cavalieri a questo punto è inevitabile: Erec ne esce vincitore e la bella Enide può così pretendere e sollevare il falco dalla pertica, quale simbolo della propria bellezza e purezza d’animo.
Erec può finalmente tornare vittorioso da re Artù, portando con sè la figlia del valvassore, divenuta nel frattempo sua promessa sposa. All’arrivo a corte, re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda concordano sul fatto che Enide è effettivamente la più bella damigella fra tutte le presenti.
Pochi giorni dopo i due si sposano, e i festeggiamenti iper l’occasione proseguono per più di quindici giorni.
Nel leggere questo breve e avvincente romanzo cavalleresco di Chretien de Troyes, mi sono tornati in mente i rilievi duecenteschi della Fontana Maggiore di Perugia, in particolare quelli che si possono ammirare in corrispondenza del mese di maggio: vi è infatti rappresentata un’elegante coppia di giovani sposi a cavallo.
Si tratta indubbiamente di una scena d’amor cortese che vede il cavaliere seguire la propria dama ed offrirle in omaggio tre simboliche rose.
Come non pensare alla bella Enide, notando che la dama rappresentata sulla Fontana Maggiore tiene in mano un frustino ed uno sparviero?
La stessa iconografia di ambito cavalleresco la ritroviamo anche tra i rilievi medievali del portale di Palazzo dei Priori, a pochi metri di distanza dalla Fontana scolpita da Giovanni e Nicola Pisano.
In conclusione, ritengo che la presenza del falco in mano a giovani figure femminili, spesso rappresentate nell’arte medievale del XII e XIII secolo, possa essere meglio compresa facendo riferimento all’ambito culturale della poesia epico-cavalleresca in lingua d’oïl e della lirica trobadorica in lingua d’oc, e debba intendersi come allegoria di purezza e di bellezza, soprattutto in termini di lealtà, prudenza, saggezza e cortesia.
Antonella Bazzoli, 17/05/2014