In pellegrinaggio al santuario dell’Angelo
Era appena suonata l’ora sesta quando Bernardo e il suo amico Artemio raggiunsero Porta Pulchra, l’entrata settentrionale delle mura etrusche di Perugia. I due pellegrini erano diretti al tempio dedicato all’ arcangelo Michele, un santuario a pianta circolare che abili scalpellini avevano edificato fuori le mura intorno al VII secolo. I due compagni di viaggio cominciarono asalire lungo la via Lungara, caratterizzata da un susseguirsi di botteghe artigiane, monasteri e oratori di ordini mendicanti, ospedali per i poveri e per i pellegrini.
Giunti in prossimità del tempio, i due incontrarono un cantastorie che narrava le avventure del paladino Orlando. Secondo il fantasioso racconto il prode eroe sarebbe giunto a Perugia per soccorrere l’ amico Olivieri, che era stato fatto prigioniero da un tiranno del posto.
“Vedete la forma tonda del tempio? – gridava il cantastorie mentre indicava la chiesa in fondo alla via – “la sua architettura ricorda la tenda di Orlando”. Secondo la leggenda l’eroe si sarebbe accampato con la propria tenda sulla cima del colle, a settentrione della città, e in quel luogo sarebbe stata costruita la chiesa di San Michele Arcangelo, da allora chiamata anche padiglione d’Orlando, per la sua pianta circolare sovrastata da un alto tamburo centrale.
La copertura a tenda ricordava in effetti la forma di un padiglione. Bernardo si rivolse all’amico spiegando: “In realtà la chiesa fu fatta costruire da comandante di guarnigione dell’esercito bizantino, e fu intitolata all’arcangelo guerriero venerato dalle truppe d’ell’Impero d’Oriente”.
I due pellegrini si avvicinarono al tempio: quattro cappelle esterne formavano una croce greca i cui quattro bracci erano perfettamente orientati secondo i punti cardinali.
Entrarono nel santuario dalla porta a sudovest e attraversarono la navata circolare, ammirando le sedici colonne di spoglio che con i loro splendidi capitelli corinzi sostenevano la copertura. Quel materiale di spoglio proveniva da un antico tempio di età romana e il sole creava su quegli antichi marmi incredibili giochi di luce. Abbinate a due a due per stile e dimensioni, le sotto coppie del colonnato alternavano il granito grigio al marmo greco, al nero venato e al marmo cipollino. Disposte a raggiera attorno al vano centrale, le otto coppie di sostegni dividevano l’ambiente in due spazi circolari concentrici creando l’effetto di una rosa dei venti.
La luce penetrava dall’alto attraverso le dodici finestre ad arco che si aprivano nel tamburo centrale: divise in quattro gruppi da tre e orientate verso i quattro punti cardinali le dodici aperture rappresentavano simbolicamente la Gerusalemme Celeste come descritta nel libro dell’Apocalisse!
Con lo sguardo rivolto ad Oriente, verso il lontano Santo Sepolcro di Gerusalemme, i pellegrini attraversarono l’interno della chiesa.
Sul pavimento notarono molte lapidi sepolcrali. Una, in particolare, colpì la loro attenzione per il motivo scolpito a rilievo: una stella a cinque punte iscritta in un cerchio.
Bernardo, che aveva lavorato a lungo come scalpellino, conosceva quel simbolo antico e sapeva che i seguaci di Pitagora lo avevano usato per esprimere l’armonia tra corpo e anima. “E’ il pentacolo di Salomone – spiegò al suo giovane compagno di viaggio – non solo ha il potere di allontanare ogni maleficio, ma le sue proporzioni armoniche contengono il segreto matematico della sezione aurea” .
Artemio domandò all’amico quale fosse il significato delle cinque punte e l’altro rispose: ” Il cinque è un numero sacro poiché aggiunge la quintessenza spirituale ai quattro elementi abituali. E’ il simbolo della magia di tutta la creazione. Vedi la punta del pentagramma rivolta in alto? Ciò rappresenta la forza dello spirito che presiede sui quattro elementi, se invece la punta fosse rivolta in basso, rappresenterebbe la materia che nasconde lo spirito, e allora i quattro elementi non sarebbero più in armonia”.
Poi, alzando lo sguardo, Artemio notò delle iscrizioni a lettere greche incise su due capitelli di età romana proprio, di fronte alla cappella settentrionale. “Guarda Bernardo, riesci a leggere cosa c’è scritto lassù?”
L’altro lesse l’ epigrafe a voce alta: “Ηρω, sono lettere dell’alfabeto greco”.
Artemio gli fece osservare che nella colonna accanto vi era la stessa iscrizione: le lettere erano le stesse, ma con un andamento opposto, ed il carattere centrale, il rho, appariva retroverso come in uno specchio. “ωρΗ – lesse ad alta voce Bernardo – è molto strano: la stessa parola ma incisa in direzione opposta”.
I due continuarono a girare intorno al corridoio anulare per verificare se vi fossero altri simboli incisi nel marmo. Li trovarono solo in corrispondenza delle due colonne poste davanti alla cappella meridionale, e capirono allora che quelle iscrizioni, qualsiasi cosa avessero voluto significare, tracciavano all’interno della chiesa una sorta di asse ideale, da sud a nord, quasi a voler indicare una direzione, un percorso simbolico da attraversare.
Bernardo provò a leggere anche le sigle incise sui due capitelli a sud del peristilio: “ΗΛω. Non so chi abbia inciso questi trigrammi, né che significato possano avere. Ma è certo che chi ha costruito il tempio era cosciente di cosa significassero, perchè la loro collocazione esattamente a nord e a sud del colonnato circolare, e solo in corrispondenza di due coppie di colonne che si fronteggiano, non può essere casuale!”
I due contarono i trigrammi incisi a lettere greche: c’erano in tutto otto iscrizioni sui vari lati dei capitelli. “Credi che possano ricollegarsi a culti preesistenti di origine precristiana?” chiese Artemio all’amico. ” Credo piuttosto che possa trattarsi di abbreviazioni del termine Ηρωon, che in greco significa sepolcro – rispose Bernardo – e ciò mi fa pensare che forse queste colonne appartennero anticamente ad una tomba monumentale”.
“E se invece si trattasse di un’abbreviazione del termine greco Ηρω, che sta per eroe? – controbatté Artemio che pure aveva studiato il greco – in tal caso potrebbe essersi trattato di un culto italico per Ercole, poi soppiantato in età cristiana da quello per l’ arcangelo Michele”.
Eppure Bernardo non era del tutto convinto delle ipotesi avanzate dal suo giovane amico. Se Artemio avesse avuto ragione, perchè allora ripassare le lettere con vernice nera? Perchè sottolineare ed evidenziare la presenza di iscrizioni pagane in un tempio cristiano? E poi perchè l’architetto avrebbe dovuto collocare le antiche colonne con le iscrizioni in greco solo a nord e a sud del peristilio anulare?” Improvvisamente Bernardo ebbe un’intuizione: “Ma certo! Come non pensarci prima? E’ come se le quattro colonne con i trigrammi incisi sui capitelli volessero indicarci un asse ideale, una via che passa tra due simbolici attraversamenti: la Porta degli Uomini e la Porta degli Dei. Sono questi i due passaggi che ogni uomo deve affrontare e che indicano un percorso alchemico, un attraversamento iniziatico, un passaggio strettamente legato al simbolismo solstiziale!”
Artemio accolse con entusiasmo l’intuizione del suo sapiente compagno di viaggio. C’era indubbiamente un’ energia salvifica in quel luogo sacro. Quelle misteriose epigrafi sembravano davvero indicare una via.
“Forse si tratta della nuova via che ci attende – disse all’amico più anziano – percorriamola insieme”. I due compagni di viaggio attraversarono il vano centrale passando prima sotto l’arco meridionale, tra le due colonne che ospitavano le quattro epigrafi a lettere greche, per poi fermarsi a pregare con gli occhi al cielo sotto la cupola centrale, e continuare quindi, percorrendo l’asse ideale tra il solstizio d’estate e quello d’inverno, fino a raggiungere le due colonne che sostenevano l’arco a a settentrione, ugualmente caratterizzate da quattro iscrizioni e perfettamente orientate verso nord, verso la Porta degli Dei.
I due amici ora avevano una certezza: l’arcangelo Michele, il principe degli eserciti celesti, lo psicopompo che accompagna le anime a Dio oltre la morte terrena, era presente e avrebbe fatto loro da guida, ispirandoli e accompagnandoli sulla nuova via da intraprendere.
testo e foto di Antonella Bazzoli, 28 maggio 2016