Giordano Bruno, l’eretico impenitente.
C’è chi ritiene Giordano Bruno un precursore del moderno pensiero scientifico; chi in lui riconosce un ricercatore delle leggi della natura; chi lo definisce il fondatore della filosofia moderna; chi un ermetico; chi un martire del libero pensiero…
In ogni caso fu un uomo libero dalla mente creativa ed intuitiva, un intellettuale coraggioso che rifiutò ogni dogma ma senza per questo scadere in un relativismo nichilista. Egli fu un religioso pronto ad affrontare l’inevitabile conflitto tra fede e ragione, e soprattutto fu un eroe coerente che rifiutò ogni compromesso fino al punto di perdere la propria vita per le proprie idee.
Nonostante siano passati più di quattro secoli da quel lontano 17 febbraio del 1600, giorno in cui fu eseguita la sua condanna a morte sul rogo per volere della Santa Inquisizione, la memoria del grande filosofo nolano è viva e presente oggi più che mai, e le sue teorie filosofiche, le sue intuizioni scientifiche, restano ancora incredibilmente valide e attuali!
Ciò che più di ogni altra cosa di lui mi piace ricordare, è che egli non si lasciò mai intimidire né corrompere, continuando sempre a ricercare con determinazione la Verità di un principio primo!
Mi piace anche provare a immaginare che Giordano Bruno sia ancora in vita, qui ed ora, tra di noi. Vorrei poterlo riconoscere in quelle donne e in quegli uomini liberi (e per fortuna ancora ce ne sono!), in quegli esseri viventi a lui simili, vuoi per il temperamento audace ed inquieto, vuoi per la mente aperta e tollerante, vuoi per la sete di verità o per lo spirito impavido che non teme confronto…
Per onorare la sua memoria ripropongo qui di seguito, sinteticamente, quelli che furono i momenti più significativi della sua vita, a partire dagli anni della formazione giovanile fino a quelli del suo arresto e della successiva accusa che lo avrebbe condotto alla morte sul rogo.
All’età di soli 15 anni Giordano Bruno vestì l’abito domenicano. Era il 1563 quando entrò nel convento napoletano di San Domenico Maggiore. Non pare sia stata una vocazione nel senso ortodosso del termine, e infatti fin dall’inizio il giovane Bruno sembrò rimanere estraneo ai temi devozionali imposti dalla Controriforma. Egli preferiva studiare autori come Marsilio Ficino, Raimondo Lullo, Niccolò Cusano, Niccolò Copernico ed Erasmo da Rotterdam, le cui opere (senza dubbio accessibili nella grande biblioteca domenicana del convento in cui risiedeva) erano state proibite dall’Inquisizione. Così Bruno si vide costretto a leggerle di nascosto, al lume di una candela, nell’intimità della propria cella.
Sappiamo che fin dai primi anni della sua esperienza conventuale, il giovane Bruno veniva ripreso dai suoi superiori per l’eccessiva libertà di pensiero. Subì persino dei processi per le sue idee anticonformiste che, secondo i suoi confratelli domenicani, sconfinavano spesso nell’eresia.
A causa della sua repulsione verso ogni dogma e per via del suo amore verso il libero pensiero, nel 1576 Bruno fu costretto a fuggire da Napoli per rifugiarsi a Roma, presso il convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva.
Ma anche da lì dovette presto partire, ingiustamente accusato di omicidio e di eresia.
Abbandonò allora l’abito domenicano e cominciò la sua vita da esule, costretto a spostarsi attraverso l’Italia e l’Europa. Giunse a Genova, poi a Savona e a Torino, quindi a Venezia e in altre città del nord, per poi fermarsi nel 1579 a Ginevra, dove aderì alla confessione calvinista. Vi rimase tre anni, dopodiché si scontrò anche con i calvinisti. Ne seguì la scomunica e il filosofo fu costretto a ritrattare le proprie idee. Deluso e amareggiato, Bruno si trasferì allora a Tolosa dove, per circa due anni, ottenne un posto di lettore all’università.
Nel 1581, a causa della guerra di religione fra cattolici e ugonotti, dovette di nuovo partire e si trasferì a Parigi, dove ottenne il favore del re Enrico III, attratto dalla fama delle grandi capacità mnemoniche di Bruno. A raccontare l’esperienza parigina fu lui stesso, usando queste parole durante gli interrogatori romani dell’Inquisizione: “…acquistai nome tale che il re Enrico terzo mi fece chiamar un giorno e mi chiese se questa memoria che possedevo e che insegnavo era una memoria naturale o se fosse piuttosto ottenuta per mezzo di magia. Con ciò che io gli dissi e gli dimostrai, egli comprese che non era dall’arte magica, ma dalla scienza che tale memoria mi derivava”.
Nel 1584 Bruno si recò a Londra, dove fu accolto benevolmente nella corte della regina Elisabetta I. Qui pubblicò le sue principali opere e in seguito, ritornato in Francia, partecipò a varie dispute in cui criticò la filosofia aristotelica, scatenando polemiche tali che lo costrinsero ancora una volta a cercare rifugio altrove.
Questa volta si rifugiò nella Germania luterana, dove arrivò nel giugno del 1586. Nonostante l’ottima accoglienza e l’affetto dimostrato dai suoi allievi, anche qui finì per essere scomunicato dai luterani, così come era accaduto con i cattolici e con i calvinisti.
Nel 1591 accettò allora l’invito a Venezia di Giovanni Mocenigo, un nobile che si offrì di ospitarlo in cambio dell’insegnamento delle sue arti magiche e mnemoniche.
Ma l’amicizia di Mocenigo fu di breve durata, poiché il nobile veneziano tradì Bruno e lo denunciò come eretico, facendolo arrestare e condurre nelle carceri veneziane dell’Inquisizione, in San Domenico a Castello.
L’Inquisizione romana ottenne poi la sua estradizione dal Senato veneziano, e così Bruno fu rinchiuso e torturato nelle carceri di Roma del Palazzo del Sant’Uffizio.
Il processo proseguì per otto lunghi anni, fino al 1599. Invano i giudici inquisitori sperarono di farlo abiurare e fu così che si giunse all’accusa finale di “eretico impenitente”.
Dai lunghi interrogatori romani e dalle relative carte processuali, oggi siamo in grado di conoscere meglio il pensiero di Bruno e possiamo dire con tutta evidenza che la sua condanna al patibolo non fu motivata, come ci si potrebbe aspettare, dalle solite accuse di blasfemia, di ermetismo o di magia.
A spaventare molto di più gli Inquisitori doveva essere stata la pericolosa teoria bruniana di un Universo infinito, teoria rivoluzionaria che si scontrava con la tradizionale visione aristotelica che era alla base del credo cattolico.
Per Aristotele la terra era al centro di un universo chiuso, immobile e finito, aldilà del quale vi era il nulla. A tale dogma si contrapponeva il pensiero moderno di Bruno che, sulla scia della filosofia neoplatonica e rifacendosi agli scritti di Cusano e di Copernico, credeva fermamente nell’infinità di un universo in continuo movimento.
Un nuovo modo di pensare Dio, la Natura e la Ragione, in difesa del quale Giordano Bruno fu pronto anche a morire.
Invitato ad abiurare, Bruno si rifiutò di farlo dichiarando ai suoi giudici “di non volersi pentire, di non avere di che pentirsi, e di non sapere di cosa pentirsi”.
L’8 febbraio del 1600, dopo avere ascoltato la sentenza che lo condannava a morire sul rogo, egli si rivolse ai suoi inquisitori con queste ferme e coraggiose parole: “Tremate forse più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”.
Era il 17 febbraio quando Giordano Bruno fu condotto in Campo de’ Fiori con la lingua in giova. Quella specie di museruola, detta “mordacchia”, aveva lo scopo di impedirgli di parlare in punto di morte.
Dopo essere stato denudato e legato a un palo, Bruno fu bruciato vivo.
Ma a morire fu solo il corpo fisico del filosofo di Nola, perché il suo spirito, libero e coerente fino all’estrema fine, continuò e continua ancora a comunicare con coloro che vogliono ascoltarlo.
Concludo questo breve excursus biografico del grande filosofo nolano con queste sue bellissime parole, dalle quali traspare il suo spirito aperto e intuitivo, audace e coraggioso, coerente e libero fino alla fine: “Così io sorgo impavido a solcare con l’ ali l’ immensità dello spazio, senza che il pregiudizio mi faccia arrestare contro le sfere celesti, la cui esistenza fu erroneamente dedotta da un falso principio, affinché fossimo come rinchiusi in un fittizio carcere e il tutto fosse costretto entro adamantine muraglie” (Giordano Bruno, De Immenso, 1591)
Antonella Bazzoli – 17 febbraio 2011 (aggiornato 17 febbraio 2021)