Una questione di metodo…
Evus. La storia svelata. Mi piace l’etimologia del verbo svelare. Esso indica l’azione contraria di coprire con un velo e quindi assume il significato di palesare qualcosa o qualcuno, cioè di liberare l’oggetto dal velo che lo nascondeva.
Rivelare ha un significato simile, derivando dall’unione di “re” – che sta per tirare indietro – e di “velare” – che significa togliere il velo. Svelare un oggetto equivale dunque a tirare indietro da esso quella cortina che era servita a coprirlo, a celarlo.
E’ bello sapere che molti veli possono essere rimossi, rivelando aspetti finora rimasti celati , e che storie restate nascoste nel buio possono improvvisamente tornare a parlare di sé.
Sono molte le “storie” del nostro passato che non si trovano nei libri di storia, alcune perchè scomode e volutamente ignorate, altre perchè abilmente mistificate.
Quanti eventi passati sono finiti per essere dimenticati, e quanti personaggi importanti sono stati incompresi o male interpretati.
E quante lacune tra damnatio memoriae, fonti distrutte o celate, testimonianze perdute, fatti e personaggi strumentalizzati.
Per fortuna sono tante anche le “storie” le cui tracce sembravano perdute, e che invece un giorno riemergono in superficie. A volte sembra quasi che vivanro di vita propria e chiedano di farsi trovare, di essere comprese e raccontate.
Così accade ogni tanto, magicamente, che una storia perduta riaffiori dall’oblio del passato. Che siano antichi reperti che a un tratto riemergono da una tomba ipogea, che siano segni lasciati sulla pietra il cui significato criptato all’improvviso si mostra e si lascia decodificare… in ogni caso si tratta di “storie” che tornano in vita, come se il tempo non fosse più lineare, ma circolare.
Chi come me si dedica all’indagine storica, si chiede tuttavia continuamente quale sia il metodo migliore per far riemergere le storie perdute del nostro passato. Con quale approccio si può arrivare a svelare ciò che per tanto tempo è rimasto velato?
In primo luogo, io credo, attraverso un metodo rigorosamente “scientifico”, basato dunque sull’analisi delle fonti e dei documenti più antichi, un metodo che si avvalga di continue verifiche di quanto asserito e ipotizzato, attraverso confronti, prove, riscontri…
Esistono tuttavia intuizioni ed ipotesi che non sempre possono essere “dimostrati”, allora sarà necessario “mostrare” quanto emerso, specificando che nello specifico caso non si può procedere con un’indagine di tipo scientifico. Si potrà tuttavia procedere utilizzando strumenti d’indagine alternativi, strumenti comunque utili ad illuminare le zone d’ ombra del nostro oggetto di studio.
Nei miti, ad esempio, possiamo studiare gli archetipi, che restano sempre uguali a se stessi. Attraverso l’analisi dell’archetipo potremmo infatti accedere a quel nucleo di verità che, con l’aiuto della mente intuitiva, ci consentirà di svelare connessioni e significati finora ignorati.
E poi c’è la riflessione sui simboli. Il simbolo può essere letto come una chiave, un lasciapassare con cui accedere ai luoghi più ignoti della nostra coscienza. Luoghi che, una volta raggiunti, possono condurci a ulteriori, nuove scoperte, aprendoci a continue, spesso inattese intuizioni…
Così può accadere, ad esempio, che studiando un culto praticato dai nostri antenati, si scoprano tracce di rituali sopravvissute nel nostro presente, magari ritrovandole nel testo di una preghiera, nella ripetizione di una cerimonia, o nella presenza di un toponimo rimasto invariato nel tempo, o in un gesto devozionale, o in un proverbio che sembra aver perso il proprio significato…
Le consuetudini, i desideri, le paure di uomini vissuti secoli fa, risuonano ancora dentro di noi, se solo proviamo a riconnetterci a loro, se solo proviamo ad ascoltarni senza giudizio.
Come echi di voci lontane, antichi sogni, passate esperienze, o sconosciute emozioni, possono riemergere dal passato, magari contemplando una semplice croce graffita da un pellegrino sull’intonaco di un affresco medievale, oppure leggendo il nome di un guerriero etrusco inciso sul fronte di un’urna cineraria, o anche nell’architettura di un tempio orientato verso il sole, o persino nel buio di una cripta che ospita le reliquie di un santo.
Il ponte di collegamento tra il passato e il presente è fatto a volte di piccoli indizi, di improvvise intuizioni, di prove fortuite, di tracce in attesa di venire scovate, di simboli e miti che chiedono di tornare a parlare…
di Antonella Bazzoli, 8 maggio 2010