L’arcangelo dai mille volti
Nel Vecchio Testamento l’Arcangelo Michele è il condottiero delle milizie celesti. Il profeta Daniele lo definisce: “il primo dei principi e il custode del popolo di Israele” (Daniele 10,13). Nell’episodio biblico dell’assedio di Gerico lo ritroviamo armato di spada, mentre si presenta a Giosuè come “principe dell’esercito del Signore” (Giosuè 6,14).
Nel giardino di Eden lo incontriamo nuovamente, armato di spada fiammeggiante, mentre ricopre il ruolo di guardiano dell’Albero della Vita (Genesi 3, 24).
Lo troviamo anche nel libro dell’Apocalisse, impegnato a guidare gli angeli nella battaglia contro il demonio. Il combattimento tra Michele e il drago viene descritto con queste parole: “E in cielo scoppiò una guerra: Michele e i suoi Angeli combattevano contro il drago e gli Angeli suoi, ma non prevalsero e nel cielo non vi fu più posto per loro. E il grande drago, l’antico serpente, che chiamiamo Diavolo o Satana e che seduce il mondo intero, fu precipitato sulla terra con tutti gli angeli suoi” (Apocalisse 12, 7-9).
le diverse descrizioni dell’arcangelo Michele in veste di combattente, aiutano a comprendere perchè fin dall’alto medioevo l’arcangelo fosse venerato come protettore degli eserciti. Ecco perchè ad invocare l’aiuto dell’arcangelo in battaglia furono anche eserciti nemici, come ad esempio le truppe longobarde e quelle bizantine!
Oltre a rivestire il ruolo di protettore d’Israele e quello di custode del Paradiso, Mikael andò via via ampliando le proprie prerogative fino a comprenderne altre che non troviamo nelle Sacre Scritture, e che sembrano invece derivare da testi apocrifi del Vecchio Testamento.
Ad esempio, la sua funzione di psicagogo (ovvero di “accompagnatore delle anime”) sembra derivare dalla tradizione apocrifa in cui l’arcangelo e Satana si contendono il corpo di Mosè.
Nel testo apocrifo “Vita di Adamo ed Eva” l’arcangelo Michele ha invece il compito di insegnare a coltivare la terra ad Adamo e in seguito accompagnerà in cielo il primo uomo dopo la morte terrena [1].
Una funzione dunque di traghettatore delle anime a Dio, quella di Mikael, che trova conferma anche nel vangelo di Luca laddove, nella parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro, si legge: “Un giorno il povero (Lazzaro) morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo” (Luca 16-22).
Tale ruolo di guida per il defunto nel suo viaggio nell’aldilà, ci spiega peraltro perchè l’arcangelo finì per essere associato all’episodio della morte di Maria (Dormitio Virginis). Il soggetto è descritto in molti affreschi medievali in cui si vede un angelo con la palma in mano mentre annuncia alla Vergine l’evento imminente della sua morte. Si tratta di Michele arcangelo, anche se l’episodio non è narrato dai vangeli sinottici ma soltanto da quei testi apocrifi che descrivono la morte e l’ascesa al cielo della madre di Cristo circondata dagli apostoli.
Tra i tanti ruoli rivestiti da Michele vi è anche quello, importantissimo, dell’ angelo psicopompo (ovvero del “pesatore delle anime”).
In tale veste troviamo spesso il principe delle schiere celesti raffigurato con la bilancia in mano, strumento di misura dal duplice significato simbolico: se un piatto rappresenta la giustizia, l’altro ci ricorda la misericordia divina. Si tratta in questo caso di un’ iconografia di origine copta che deriva evidentemente dall’antica religione egizia, in cui il dio Toth presiedeva alla cerimonia della pesatura del cuore ( psicostasia), consentendo così al defunto di accedere nell’aldilà.
Di origine copta è anche l’iconografia che vede Mikael nelle vesti dell’eroe sauroctono, l’ uccisore del drago, il trionfatore sul “serpente antico”.
Drago che nell’immaginario medievale rappresentava il male, e quindi le calamità in senso lato, inclusa la malaria, la peste, le eresie e le catastrofi naturali (come alluvioni ed esondazioni tipiche di aree lacustri o fluviali paludose, non bonificate).
Ecco perchè a volte nelle opere d’arte troviamo il culto micaelico associato a vari culti di santi locali che ugualmente trionfano sul pestifero drago.
Pensiamo ad esempio alla scena descritta nei rilievi romanici scolpiti sopra il portale della chiesa umbra intitolata a San Felice di Narco in Valnerina: qui un drago esce dalla grotta e viene prontamente sconfitto da San Felice, il quale si riconosce perchè è armato d’ascia e viene guidato dall’arcangelo Michele alle sue spalle .
Tra i vari santi sauroctoni che si legano a leggende agiografiche locali, ricordiamo san Mamiliano il quale scaccia dall’isola di Montecristo il drago, gettandolo in mare, e San Marcello di Parigi il quale sconfigge il dragone merovingio.
Ma forse l’iconografia più conosciuta relativa all’eroe sauroctono è quella del santo cavaliere Giorgio , conosciuto e venerato in tutta Europa per aver sconfitto il drago che minacciava la principessa, e aver convertito al cristianesimo un intero villaggio che viveva nel terrore a causa del mostro lacustre[2].
Diversa è invece l’iconografia dell’arcangelo nell’arte bizantina. Qui generalmente l’angelo non è raffigurato nell’atto di uccidere il drago, né tantomeno con la bilancia in mano.
Solitamente lo si vede indossare gli abiti del dignitario di corte, ovvero il loros, abito nobiliare caretteristico della corte di Bisanzio, costituito da una tunica in porpora con fascia inferiore dorata, riccamente decorata a quadretti policromi.
Spesso l’arcangelo di derivazione bizantina è appoggiato ad una lancia o a un bastone, altre volte regge un’asta con funzione di scettro regale nella mano destra e spesso un labaro nella sinistra. I suoi piedi possono calzare stivaletti rossi, e poggiano in genere su un cuscino, a ricordare la regalità di cui Mikael è investito.
Interessante è poi notare che l’angelo, il cui volto è quasi sempre giovane e in posizione frontale, ha un aspetto solenne e ieraticamente statico, in linea insomma con i canoni dell’arte bizantina. Così raffigurato lo ritroviamo nel tardo medioevo, soprattutto in aree geografiche rimaste più a lungo sotto l’influenza greca dell’Impero d’Oriente.
Tuttavia l’ iconografia di derivazione bizantina si può trovare anche in aree di influenza longobarda, come ad esempio a Spoleto, dove nella cripta romanica di San Ponziano si ammira un bellissimo ritratto dell’arcangelo che regge un’asta nella mano destra ed un globo crocesignato nella sinistra, con le ali aperte somiglianti a fiamme di fuoco.
Antonella Bazzoli – 7 ottobre 2011 (aggiornato il 16 settembre 2022)
[1] “Il Signore dell’Universo dal santo trono su cui era seduto stese le mani in questo modo e sollevò Adamo per consegnarlo all’arcangelo Michele con queste parole: – Portalo su nel paradiso fino al terzo cielo e lasciavelo fino a quel giorno grande e terribile che riservo al mondo. Allora Michele sollevò Adamo e lo lasciò dove Dio gli aveva detto”. Apocrifi dell’Antico Testamento Volume II a cura di Sacchi P. ed. TEA 2002
[2] La scena del cavaliere che trafigge il mostro si sviluppa piuttosto tardi nel medioevo, attraverso la “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine. Essa rappresenta la vittoria sul “serpente antico”, il trionfo di Cristo sul male, derivando al contempo da antichi miti precristiani, come quello egizio che vede Horus a cavallo mentre uccide il coccodrillo Seth, e come quello in cui Ercole sconfigge l’Idra nella seconda delle sue fatiche.