Iside dai molti nomi
“Tu, una quae es omnia, dea Isis“. Questa invocazione alla dea Iside, databile al III secolo e rinvenuta a Capua, attesta la diffusione del culto isiaco in Occidente durante l’età imperiale.
L’epigrafe, riferendosi ad un’unica dea venerata per i suoi molteplici aspetti, ci fa capire perché i suoi attributi e le sue prerogative risultano spesso simili a quelli di altre divinità femminili di area mediterranea, come Cibele, Astarte, Aphrodite, Demetra, Hecate, Athena e Fortuna.
Se è vero che in Siria e in Fenicia i tratti della dea Iside finirono per confondersi con quelli di Astarte (raffigurata spesso nuda, con ricco diadema e collane al collo), è altrettanto vero che nel mondo ellenistico i suoi caratteri universali resero possibile l’ assimilazione di Iside alla greca Demetra (cfr. Erodoto, Le Storie, I, 24 e ss.).
Nelle Metamorfosi di Apuleio troviamo un’ interessante descrizione della dea egizia, utile a comprendere meglio questo suo carattere poliedrico e universale.
Ecco qui di seguito le bellissime parole che l’autore latino, vissuto nel II secolo, fa pronunciare ad Iside, apparsa in sogno al protagonista Lucio:
“Eccomi, sono qui Lucio, commossa dalle tue preghiere, io madre della natura, signora di tutti gli elementi, progenie iniziale di tutte le età, la più potente tra i numi, regina dei Mani, signora dei celesti, immagine unificante di tutti gli dei e le dee; io, che con la mia volontà governo le luminose altezze del cielo, le salubri brezze del mare, i desolati silenzi degli inferi; io, il cui unico nume è venerato nel mondo intero sotto diverse forme, con rito vario e con diversi nomi. Da una parte i Frigi, i più antichi abitatori, mi chiamano Pessinunzia madre degli dei; gli Ateniesi autoctoni Minerva Cecropia, i Ciprioti circondati dal mare, Venere Pafia; i Cretesi arcieri, Diana Dictinna; i Siculi trilingui, Proserpina Stigia; gli antichi abitatori di Eleusi, Cerere Attica; altri Giunone, altri Bellona, alcuni Ecate ed altri ancora Ramnusia; ma quelli che sono illuminati dai primi raggi del sole che nasce e da quelli morenti del sole che tramonta, ossia entrambe le razze degli Etiopi, e gli Egizi famosi per la loro antica sapienza, venerandomi con riti appropriati mi chiamano con il mio vero nome di Iside regina“.
Invocata con diversi nomi, rappresentata con attributi e simboli differenti da luogo a luogo, la dea fu venerata sia in Oriente che in Occidente, a partire dalle regioni del delta del Nilo, dove il suo culto è già attestato verso la metà del II millennio a. C., per poi approdare nell’isola di Delfo ed essere infine accolta, intorno al I secolo, nella Roma di età imperiale.
Da Roma il culto isiaco continuò a diffondersi, penetrando lungo le principali vie di comunicazione della penisola italica. Genti tradizionalmente diverse fra loro non ebbero difficoltà ad inserire l’antica dea egizia nel proprio pantheon tradizionale, arrivando persino ad ospitarla in templi già intitolati ad altre divinità, e riconoscendo in lei, madre di Horus e sposa di Osiride, non solo il carattere universale di dea della fertilità e della rinascita (caratteristiche tipiche di molte dee madri di area mediterranea), ma anche nuove competenze e sfere d’azione che in precedenza erano appartenute a preesistenti divinità locali.
Iside fu venerata da popoli di diversa appartenenza etnica e di diverso rango sociale, anche grazie alle sue prerogative divine e salvifiche di garante della vita ultraterrena. Chiamata “Iside dai molti nomi“, invocata come sovrana del cielo e della terra, regina dei fiumi, dei mari e dei venti, nell’antico Egitto la dea era anche considerata madre del faraone vivente e sposa di quello defunto, poiché era stata capace di far tornare in vita il dio Osiride dopo averne ritrovato e ricomposto le membra disperse.
E proprio in virtù di questo suo potere taumaturgico e salvifico, la dea divenne genitrice e protettrice di tutti gli uomini, signora della medicina e portatrice di compassione e speranza per l’umanità intera.
Nell’Egitto di età tarda e in epoca tolemaica, l’antica divinità finì per identificarsi con Afrodite: nuda o semivestita, cominciò ad essere raffigurata con il tradizionale basileion sul capo, oppure con i capelli sciolti e raccolti in boccoli digradanti, in un’elegante acconciatura detta “alla libica”.
In altre raffigurazioni la dea presentava il capo velato, simbolo forse dell’oscurità che prelude la rinascita della luce.
Altre volte aveva un modio sul capo ( il modio, o moggio, era un’unità di misura per i cereali nell’antica Roma), un timone nella mano destra, simbolo del dominio sul fato, e una cornucopia nella sinistra, simbolo di fertilità e abbondanza. Così la dea è rappresentata, ad esempio, in un affresco proveniente da Pompei, conservato nel museo archeologico di Napoli. L’ iconografia di Iside con la cornucopia in mano torna anche in quella della dea Fortuna (corrispondente alla greca Tyche).
Spesso Iside vestiva una lunga tunica nera con mantello annodato sul petto (il caratteristico nodo isiaco) e poteva avere il capo ornato da un ureo (cobra impennato) o da un disco solare piumato.
Iside fece propri anche alcuni caratteri di Artemide, venendo a volte raffigurata con faretra a tracolla.
Un altro esempio di sincretismo religioso si può riscontrare nella rappresentazione della dea egizia con il crescente sul capo, sormontato da due spighe di grano. Spighe che prendono il posto del basileion, la corona sacra dell’antica Iside in cui le tradizionali piume e corna bovine racchiudevano al proprio interno il disco solare.
Spesso le statue di Iside presentano come attributi il sistro che la dea tiene con la mano destra e la situla che tiene nella sinistra.
Il sistro era uno strumento musicale in grado di disperdere le influenze negative e di attrarre quelle positive tramite le sue magiche vibrazioni.
Non a caso il famoso tempio egiziano di Dendera, chiamato anche “tempio del sistro”, era stato progettato architettonicamente come un grande strumento musicale in pietra, in grado di fondere le armonie del cosmo e rallegrare la terra.
Dea dell’amore, alla stessa stregua di Hathor (il nome di quest’ultima significa letteralmente “dimora di Horus” rappresentando simbolicamente il grembo materno da cui era stato generato il dio fanciullo Horus), Iside possedeva anche caratteristiche agresti ed era invocata come protettrice dell’agricoltura, oltre che delle lettere e delle arti.
Iside veniva identificata anche con Sothis (così gli Egizi chiamavano Sirio), raffigurata mentre siede sul cane, velata e ammantata, a rappresentare la stella più brillante fra tutti gli astri.
Gli egizi sapevano che quando a maggio Sirio spariva nel cielo, per un periodo di settanta giorni, tornava poi a risorgere all’orizzonte in concomitanza con l’attesa data della piena annuale del Nilo, corrispondente al 18 luglio del calendario Giuliano.
A partire dal Nuovo Regno troviamo la dea madre egizia, signora dei cieli e della terra, raffigurata anche con sua sorella Netti a bordo della barca solare con cui il dio Rah attraversava il cielo.
Alla luce di tutto ciò si può comprendere perché il culto isiaco continuò ad essere praticato in varie regioni d’Italia, addirittura fino al IV e V secolo d. C, ovvero in un’ età in cui il nuovo credo cristiano si era già ampiamente diffuso e radicato un po’ ovunque.
Per le sue caratteristiche universali e salvifiche di madre divina, che con amore allatta e protegge il dio bambino Horus, Iside fu ritenuta anche madre e protettrice di tutti gli uomini, venerata sia nella sfera privata che in quella pubblica.
Fu la nuova figura di Maria a soppiantare il culto di Iside senza troppe difficoltà. L’attecchimento e la diffusione del culto mariano fu infatti facilitato proprio dalle caratteristiche simili delle due figure, entrambe spose del dio padre, entrambe madri del bambino divino e potenti regine dalle virtù taumaturgiche, entrambe compassionevoli salvatrici dell’umanità.
Tale fenomeno di sincretismo religioso è particolarmente evidente, ad esempio, nel soggetto iconografico della cosiddetta Isis lactans, dove la dea egizia è raffigurata assisa in trono con un seno scoperto nell’atto di allattare il dio bambino che tiene in grembo. Il motivo della dea madre che nutre il proprio figlio divino, molto diffuso in rilievi, bronzetti e affreschi sia in Oriente che in Occidente, fu assorbito e sostituito in seguito dalla diffusissima rappresentazione cristiana della “Madonna del Latte“, soggetto che tanta fortuna ebbe nell’arte figurativa del medioevo e del rinascimento.
Da ultimo vorrei ricordare Iside nella sua veste di Isis Faria, che ebbe un ruolo importante soprattutto per i naviganti e i commercianti. Ogni primavera, nelle principali città marittime del Mediterraneo, venivano organizzati festeggiamenti in onore della dea, e il 5 di marzo si celebrava un rito propiziatorio, chiamato Isidis Navigium, consistente nello spingere in mare un’imbarcazione riccamente decorata e seguita da altre imbarcazioni minori, poi lasciata andare simbolicamente alla deriva. Anche tale festa in onore di Iside continuò ad essere celebrata per lungo tempo, nonostante l’affermazione del nuovo credo cristiano, come attestano alcuni autori del IV e V secolo.