I tre fichi della Fontana Maggiore
Nel ciclo scultoreo della Fontana Maggiore di Perugia, tra i rilievi del bacino inferiore, l’albero del fico compare in tre distinte formelle.
Lo vediamo raffigurato nella sequenza delle storie di Roma, in corrispondenza della formella in cui Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa. Si tratta dello stesso albero sacralizzato nello spazio del foro, quel Ficus Ruminalis il cui nome deriva significativamente dalla parola latina ruma, ovvero mammella.
Ed è un fico carico di frutti maturi anche quello che compare scolpito a rilievo nelle scene dell’Eden. Qui il fico sta a rappresentare l’albero paradisiaco della conoscenza del bene e del male, il cui tronco è avvolto dalle sinuose spire del serpente che tenta Eva, la quale a sua volta porge ad Adamo il frutto ingannevole. Nella formella successiva si vede la scena della cacciata dal paradiso terrestre, con il primo uomo e la prima donna che si coprono con le stesse foglie dell’ albero da cui avevano mangiato: il fico, appunto. Lo stesso albero lo ritroviamo anche nelle scene della cacciata dal paradiso di Adamo ed Eva, sul primo pilastro del duomo di Orvieto, scolpito a rilievo da Lorenzo Maitani.
Questa pianta dalle inconfondibili ampie foglie a cinque lobi, i cui rami se spezzati producono un lattice bianco simile al latte, se da un lato richiama l’idea della maternità e dell’allattamento, dall’altro richiama la sessualità e l’istinto. In qualità di ‘albero che allatta’ il fico assunse così una connotazione spiccatamente femminile e materna che tuttavia, come simbolo del peccato, finì per rappresentare il tema della caduta, della colpa e della perdita di un’innocenza originaria.
Il terzo albero di fichi che vediamo rappresentato sulla Fontana Maggiore di Perugia, è quello scolpito sulle due formelle del mese di Agosto, la cui presenza può essere interpretata simbolicamente come sintesi delle due precedenti letture iconografiche, ovvero quella di derivazione classica relativa al ficus ruminalis e quella di derivazione giudaico-cristiana relativa all’albero del peccato originale.
Non deve stupire peraltro che nel clima di generale rinascita che caratterizzò le società di età comunale, la duplice immagine della donna – da un lato Eva tentatrice e dall’altro la sposa fertile e la madre feconda – venisse ricomposta alla luce di una nuova fiducia nei confronti della vita.
Ecco perchè l’uomo e la donna nella scena di agosto appaiono uniti nel lavoro domestico e nella vita di coppia, protagonisti attivi nella vita familiare e in quella sociale. Sotto il segno della Vergine, al culmine della calda stagione estiva, la donna siede all’ombra di un rigoglioso albero di fico, con il cesto ricolmo poggiato sul grembo, mentre l’uomo è impegnato nella raccolta. Si tratta di una coppia adulta e matura, proprio come i frutti che sta raccogliendo: la solidità dell’ unione coniugale sembra quasi consacrata dai frutti raccolti, simbolo di un’operosità conforme all’ordine naturale. Al centro della scena domina il fico, elemento d’incontro e di scontro tra l’uomo e la donna. Frutto che nell’immaginario del tempo evocava l’idea del peccato originale, ma al tempo stesso alludeva al lavoro, al meritato raccolto e alla procreazione.
I temi scabrosi della sessualità e della colpa sembrano dimenticati, o almeno rientrati in un clima più sereno ed equilibrato: quei frutti del peccato che erano stati raccolti da Eva ed Adamo nonostante il divieto divino, nella formella di agosto ritornano con valenza positiva come a riscattare la colpa attraverso il lavoro: i fichi, frutti dolci, salutari e succosi, non vengono più raccolti furtivamente, ma anzi vengono ostentati nel cesto come ad offrire l’immagine dell’opulenza familiare. E l’albero che con le sue fronde è rappresentato in entrambe le scene, metà in una formella e metà nell’altra, sembra quasi riunire simbolicamente l’uomo e la donna, il maschile ed il femminile.
Masculum et feminam fecit eos, è scritto nella Genesi. Dio creò l’essere umano infondendo in esso sia un principio maschile che uno femminile. Ecco perchè la sua condizione esistenziale finì per diventare tensione costante verso il ritrovamento di un perduto paradiso originario.
di Antonella Bazzoli – 1 agosto 2018