Tre falconi da Pedemonte
Abbarbicato a 460 metri di altitudine sul fianco occidentale della lunga vallata che da esso prese il nome, il paese di Pedemonte era l’abitato posto a maggiore quota di tutta l’isola d’Elba. La località che ospita il sito è ancora oggi chiamata «La Terra», ossia «Il Paese».
Poche case in pietra ricoperte da tegole di ardesia, come ancora oggi è dato vedere sul pendio modellato a terrazze; una minuscola chiesa parrocchiale intitolata a San Benedetto, collocata nella parte alta del paese, presso cui alcuni contadini rivennero un crocifisso metallico, monete e una sepoltura a lastra; un florido castagneto irrigato da numerose sorgenti, fornaci per la riduzione del ferro che si trovavano nel settore meridionale.
E ancora una discarica urbana lungo un pendio roccioso, dove ancora oggi si osservano frammenti di vasellame – prodotto a Pisa dal 1220 al 1350 – in «maiolica arcaica» dai toni verdi e marroni, ottenuti con ossidi di rame e manganese. Il tutto in una felice e riparata esposizione a sudest, grazie alla vertiginosa barriera naturale costituita dal Monte Capanne. Circa le dimensioni di Pedemonte, notevolmente contenute, Giovanvincenzo Coresi del Bruno scrisse nel 1739 che «secondo le vestigie era di poche abitazioni, e per conseguenza di non troppi abitanti.»
Per la sua posizione oltremontana rispetto ai centri di Marciana e Poggio, era chiamato «Pedemonte» (ossia «ai piedi del monte), «Pomonte» e «Pemonte» (quest’ultima è una forma contratta di «Pedemonte»; arbitraria è l’usuale ipotesi di derivazione dal latino «post montem», «di là del monte»).
Con tali nomi il villaggio è ricordato in documenti del 1260 redatti a Pisa riguardanti le mancate donazioni di falconi da caccia che, ogni anno, i Comuni elbani dovevano fornire all’Arcivescovo pisano. In uno di questi documenti, scritto dal notaio Rodulfino l’8 agosto 1260, si legge che Pedemonte era debitore di tre falconi: «…de quibus falconibus contingebat Comune Marciane falcones XI et Comune de Campo falcones XI et Comune Grassule falcones III et Comune Laterani falcones III et Comune Montis Marcialis falcones III et Comune Pedemontis falcones III.»
Dal numero dei tre soli falconi in debito, si evince che Pedemonte era probabilmente considerato tra i paesi più piccoli dell’Elba insieme a Grassula (presso Rio), Latrano (oggi «Le Trane», presso Portoferraio) e Montemarciale (oggi «Colle di Santa Lucia», nel territorio portoferraiese). Interessante, tra l’altro, è notare che un antico toponimo (documentato dal 1573) presente sulla sinistra orografica della vallata di Pomonte, «La Falconaia», ricordi verosimilmente una postazione dove tali falconi venivano catturati.
Dalla documentazione medievale, in un atto del 1289 redatto dal notaio pisano Oddone Moriconi, possiamo anche ricostruire la composizione politica di Pedemonte, in cui si elencano i due sindaci Grimaldo Martini e Boninsegna Negroni, i due consoli Batto Napoleoni e Fetto Paoli, i due consiglieri Bonaguida Poloni e Gherardo di Giovanni, insieme al segretario Cecco Cagnoli.
La popolazione di Pedemonte non rimase indenne dall’epidemia di peste che nel 1348 colpì l’Italia, tantoché le famiglie «pomontinche» si ridussero al numero di 40 («Comune Pomontis remansit cum hominibus quadraginta…»).
Nel 1361 una sentenza del Senato di Pisa cita ancora una volta il paese circa le tasse da pagare a Pisa con denari pisani: «Comune Pomontis: libras centum sexaginta denariorum pisanorum…». Da una serie di atti notarili (1343 – 1365) redatti a Pedemonte dai notai pisani Andrea Pupi e Luca di Jacobo, possiamo conoscere nome e cognome di alcuni abitanti del paese: Lippo di Andrea, Vannuccio e Biagino Benencasa, Fasino Blasulini, Balduccio Giunti, Viviano Pardi, Lambrosio Ristori, Saragone Socci, Barso Ubertelli e Sustana di Vannuccio.
Il notaio Luca di Jacobo, nel 1365, rendiconta invece compravendite avvenute nel paese, firmate direttamente all’interno delle case appartenenti agli interessati: «Actum in Communi Pomontis in domo Fasini Blasulini de Pomonte…».
Nella zona, come si evince da Andrea Pupi (1343), esisteva inoltre uno «scaricatoio» (ossia una discarica) nel cosiddetto «Piano dei Sarghi» («Piano dei Salici»; in Corsica esiste il «Pian Sargincu»), mentre nelle vicinanze si trovava una località chiamata «Lomentata», che a giudicare dall’etimo latino («lomentum», «farina di fave») poteva indicare un’area coltivata a legumi. Ma il semplice misticismo della vallata non salvò le sue creature dalla fine d’ogni cosa; la distruzione, per l’antico Pedemonte, era ormai prossima.
Nel 1534, Khair Ad Din – meglio noto come Ariadeno Barbarossa – distrusse il paese di Grassula sui monti di Rio, e probabilmente inferse un primo, micidiale attacco a Pedemonte, se prestiamo fede a quanto, due secoli più tardi, scrisse Giovanvincenzo Coresi del Bruno: «…si ritrovano anche le vestigie dell’altra terra situata dietro le montagne di Poggio e Marciana, opposta a Mezzogiorno, la quale è noto fosse anco questa disfatta da Barbarossa nel tempo che fece il simile a Grassera; il nome della quale è Pomonte, ovvero “per montium” o “post montium” ben è vero…». Il disastroso epilogo, la distruzione finale di Pedemonte avvenne ad opera dell’Armata turca di Torghud (italianizzato in Dragut) alleata con i Francesi contro Carlo V di Spagna e, conseguentemente, contro il granduca Cosimo I.
Marcello Squarcialupi, storico piombinese a fianco dei Medici, nel suo reportage in tempo reale scrisse che giovedì 10 agosto 1553 «…si hebbe nuova di terra che l’Armata era a Marciana e presero Marciana e Campo et ritrovaro tutti li redutti et segreti dove erano le robbe e rubbaro, abbrusciaro e saccheggiaro e presero homini e donne e figlioli…», mentre solo tre giorni dopo «…in domenica all’alba si partiro dal Capo la Vite 70 galee e passaro larghe sopra la Ferraiuola e ritornaro a Marciana, a Campo e messero in terra a far carne e rubbaro e ruinaro quel poco che ci era rimasto…».
In tale occasione il vecchio Pedemonte fu spettatore della propria, straziante agonia: Giuseppe Ninci, poco meno di tre secoli più tardi, scrisse amaramente che la «terra» di Pedemonte «fu distrutta dai Turchi nel 1553 dell’era volgare».
Lo storico elbano così prosegue la concitata narrazione degli eventi: «L’istesse devastazioni soffrirono Poggio e Marciana, giacché i loro abitanti che mai avevan voluto abbandonare i propri abituri si erano ritirati, veduto il pericolo, sulle dirupate cime degl’alti monti che dominano quelle terre. (…) Quindi i feroci invasori dell’Elba rimbarcatisi sopra le galere, che si erano poste a costeggiare l’isola, si portarono al sudovest di questa riprendendo terra nella spiaggia di Pomonte, da dove andiedero ad investire e demolire il villaggio o terra di questo nome.»
Architetto Silvestre Ferruzzi – 1 maggio 2010
Nota I ruderi di Pedemonte e della chiesa di San Benedetto furono scoperti il 21 novembre 2009 da Silvestre Ferruzzi, Susanna Berti, Fausto Carpinacci, Umberto Segnini, Giuseppe Giangregorio, Sergio Galli, Giampiero Costa, Gian Mario Gentini, Davide Berti e Angiolino Galeazzi, sulla base delle preziose indicazioni fornite da Giuseppe Testa, l’unico abitante di Pomonte che ricordava l’esistenza della struttura, chiamata «Chiesa della Terra».
FONTI STORICHE
Atto notarile di Rodulfino, 1260 (Archivio Arcivescovile di Pisa)
Atti notarili di Andrea Pupi, 1343 (Archivio Statale di Pisa)
Provvisioni del Senato Pisano, 1350 (Archivio Statale di Pisa)
Provvisioni del Senato Pisano, 1361 (Archivio Statale di Pisa)
Atti notarili di Luca di Jacobo, 1363/1364 (Archivio Statale di Firenze)
Estimo della Comunità di Marciana, 1573 (Archivio Storico di Marciana)
Giovanvincenzo Coresi del Bruno, «Zibaldone di memorie», 1736
Giuseppe Ninci, «Storia dell’Isola dell’Elba», 1814
Corrispondenza e affari diversi, 1816/1823 (Archivio Storico Marciana) F. Pintòr «Condizioni economiche dell’Elba sotto i Pisani», 1898
Paolo Ferruzzi, «Testimonianze dell’edificazione religiosa dopo il Mille, 1985
Silvestre Ferruzzi, «Synoptika», 2008