Saturno e Satyavrata, rinnovatori del cosmo
Nell’antica Roma i Saturnalia erano tra le feste più attese del calendario religioso. Si svolgevano in onore del dio Saturno dal 17 al 23 di dicembre, giorni in cui nell’Urbe regnava il caos più assoluto.
Lo sappiamo da Plinio il Giovane, il quale si vedeva costretto a lasciare Roma durante i Saturnalia, per la grande confusione che regnava in città e che non gli consentiva di studiare in pace (cfr. Epistole, II, 17, 24).
I festeggiamenti si svolgevano tra giochi, banchetti e danze, e contemplavano stravolgimenti delle consuetudini ed eccessi di ogni tipo. Persino i giochi d’azzardo, proibiti nel resto dell’anno, venivano tollerati durante i Saturnalia.
La trasgressione delle norme e la mancanza di moderazione caratterizzava queste giornate di fine dicembre. Anche i ruoli sociali si invertivano per pochi giorni, consentendo agli schiavi di prendere in giro i propri padroni e di sedersi a tavola insieme a loro! Ciò è attestato da un calendario romano del 354 d.C. in cui si legge questo epigramma: “Dicembre procura monete d’oro alla festa di Saturno, e a te o schiavo è ora consentito giocare con il padrone” [1].
Altra usanza dei Saturnalia prevedeva lo scambio di doni, in particolare di pietanze, candele e sigilla (da cui il termine sigillaria) [2], come venivano chiamate le statuette di cera o di pasta offerte in dono. Da tale usanza deriverebbe il nostro costume natalizio di scambiarci regali.
Nei giorni dei Saturnalia era previsto anche un altro rito simbolico che si teneva nel foro romano alle pendici del Campidoglio, all’interno del tempio dedicato a Saturno.
Mentre durante tutto il resto dell’anno i piedi della statua del dio erano legati con lacci di lana (i cosiddetti compedes che ricordavano i ceppi che vincolano gli schiavi), nei giorni dei Saturnalia i lacci ai piedi venivano sciolti e il il simulacro di Saturno tornava privo di vincoli e legami. Tale riituale simbolico serviva a rievocare l’ età dell’oro, un’era antichissima e leggendaria in cui Saturno regnava senza guerre e senza discriminazioni tra liberi e schiavi. In quel regno remoto la cui memoria si era persa nel mito, la Natura produceva spontaneamente i suoi frutti e l’uomo non aveva necessità di coltivare e lavorare la terra con l’aiuto del bue (v. Tibullo, Elegia I, 3, 35-50).
Non è un caso che le feste dei Saturnalia si svolgessero proprio nel periodo del calendario agricolo che segue la semina: in questa buia fase dell’anno solare il lavoro si ferma, e anche il sole sembra morire nei giorni freddi di dicembre che annunciano l’inverno. Si tratta tuttavia di una morte apparente che preannuncia una rinascita, proprio come fa il seme sotto la terra. Una morte necessaria, utile a consentire il graduale ritorno della luce e la rinascita della natura in primavera.
Come riferisce Seneca (v. Apocol. 8,2), nel primo giorno dei Saturnalia si nominava il Saturnalicius princeps, una figura simbolica che per tutta la settimana doveva regnare nel caos della festa. Noto anche come rex saturnaliorum, questo re fittizio rappresentava probabilmente lo stesso dio Saturno.
Una volta conclusi i festeggiamenti il destino del re dei Saturnalia era quello di essere messo a morte con una rappresentazione di uccisione simbolica.
Strascichi di questo antico rituale sembrano sopravvivere ancora oggi, in alcune regioni d’Italia, in quelle tradizioni folkloriche che consistono nel dar fuoco ad un fantoccio nella notte di San Silvestro, o anche nella consuetudine di far roteare, nella piazza del paese, una figura burlesca ingabbiata all’interno di una struttura armata di scoppiettanti petardi e mortaretti.
Sempre a proposito di Saturnalia mi sembra interessante riportare la tesi di René Guénon, famoso assertore dell’unità che lega le tradizioni più diverse e del sincretismo che spesso permette di ricollegare diversi simboli e consuetudini ad un’origine comune.
Secondo il noto studioso di simboli sacri, vi sarebbe un’analogia tra il dio Saturno e il Noé della tradizione induista, il cui nome è Satyavrata .
Il mito narra che il dio Vishnu apparve a Satyavrata sotto forma di pesce per annunciargli che le acque stavano per distruggere il mondo e ordinargli di costruire un’arca in cui chiudere i germi della vita futura.
Nel nuovo ciclo successivo al cataclisma, Satyavrata avrebbe consegnato agli uomini il Veda, i testi della rivelazione divina per la religione induista.
Satyavrata come Noé, dunque, ma anche come il Manu, il Legislatore del ciclo attuale.
A parte le interessanti analogie tra la tradizione indù e altri miti che pure parlano di diluvio universale, va notata la radice comune dei due nomi Saturno e Satya(vrata). Entrambi potrebbero rappresentare la stessa manifestazione divina che crea e ricrea il cosmo ad ogni ciclo.
Il mito indù narra infatti che Vishnu apparve a Satyavrata alla fine del ciclo cosmico che precede l’attuale.
A ulteriore conferma di tale tesi si noti il nome della sfera del pianeta Saturno, che nella tradizione indù viene chiamata Satya-Yuga.
[1] cfr. J. Strzgowsky, Die Calendarbilder vom Jahre 354, in Jahrbuch des kaiserlich, deutschen archaeologischen Instituts, suppl. I Berlin 1888, tav.X
2] Secondo Macrobio i sigillaria avrebbero avuto a che fare con un obbligo religioso (v.Saturnali, I, 10, 18)
Antonella Bazzoli – 7 dicembre 2010 (aggiornato 20 dicembre 2023)
Da leggere:
Dario Sabbatucci, La religione di Roma antica. Dal calendario festivo all’ordine cosmico. ed. Seam, 1988
René Guénon, Simboli della scienza sacra, Milano 1975
Margarethe Riemschneider, Saturnalia, I, in “Conoscenza religiosa”, n. 4, 1981 e n.1-2, 1982