Meretrici e lavatrici di capeta
Con il termine lavatrice di capeta si indicava in età comunale colei che oggi definiremmo “parrucchiera per signori”.
Un mestiere di tutto rispetto che tuttavia non era ben visto nella società di età medievale.
Dall’analisi di un articolo dello Statuto del Comune del Popolo di Perugia si evince chiaramente che il prendersi cura delle capigliature dei signori uomini era considerato, per una donna, un’attività intima e promiscua paragonabile a quella di una prostituta.
Nel testo redatto nel 1342 si legge infatti: “Nessuna meretrice, ovvero puttana, ovvero lavatrice de capeta dimori a meno di dieci case di distanza dalla nuova chiesa del beato Ercolano, e dalle altre chiese della città di Perugia… e che nessuno affitti loro una casa in detti luoghi. E chiunque contravverrà alla legge, si tratti della meretrice o lavatrice di capeta o di colui che a queste affittò la casa, che sia punito con 50 libre di denaro… e che ciascuno possa esserne accusatore” (libro IV, 132.1)
Come è possibile che la qualifica ” lavatrice di capeta” (ovvero colei che lava le teste ed i capelli altrui) sia stato usato come sinonimo di donna dai facili costumi? Forse perché il contatto delle mani di una donna sul cuoio capelluto di un uomo veniva percepito come un massaggio potenzialmente carico di sensualità? un gesto intimo in grado di scatenare desiderio ed erotismo? Erano secoli in cui i chierici e i predicatori giudicavano immorale e peccaminoso qualsiasi mestiere incentrato sulla cura del corpo, in special modo le attività promiscue caratterizzate da contatto fisico tra uomini e donne.
Fu così che prostitute e parrucchiere per signori finirono per essere considerate alla stessa stregua, e fu così che i due termini vennero addirittura equiparati nel diritto, come emerge da un’attenta analisi del suddetto articolo dello Statuto comunale, redatto a Perugia nel 1342.
Leggendo attentamente il testo si nota per prima cosa che i tre termini, meretrice, puttana e lavatrice di capeta, sono considerati quali sinonimi.
Scopriamo inoltre che all’interno delle mura cittadine il mestiere della prostituta era consentito e tollerato, ma solo a patto che l’ attività fosse praticata nell’intimità protetta di un’abitazione privata.
Chiunque era libero di locare una casa ad una meretrice, quindi il mestiere più antico del mondo poteva essere svolto liberamente nel XIV secolo, tuttavia la casa in cui la prostituta ospitava i propri clienti doveva essere lontana dalle chiese e dai luoghi di culto cittadini. Rivolgendosi ai locatori il testo dello statuto comunale parla chiaro ed avverte: “…che nessuno affitti loro una casa in detti luoghi”.
Come le meretrici anche le lavatrici di capeta potevano svolgere la propria attività in una casa in affitto, ma solo a patto che la dimora locata si trovasse ad una distanza di almeno dieci case dalla chiesa del santo patrono e da tutti gli altri luoghi di culto cittadini: “a meno di dieci case di distanza dalla nuova chiesa del beato Ercolano, e dalle altre chiese della città di Perugia”.
Un’atteggiamento aperto e tollerante da un lato ma fortemente ghettizzante dall’altro. E’ probabile che l’ articolo statutario mirasse a scoraggiare tali donne giudicate di malaffare a fissare la propria dimora vicino ai luoghi sacri. Se il locatore o la conduttrice non avessero rispettato tale norma statutaria, sarebbero stati puniti con una multa di 50 libre di denaro!
Controlli in tal senso venivano effettuati non tanto dalle autorità comunali, quanto dagli stessi cittadini invitati a diventare pubblici accusatori, incitati a denunciare eventuali contravventori, come lascia chiaramente intendere l’esplicito testo che chiude l’articolo dello Statuto: “…e che ciascuno possa esserne accusatore” .
Curioso è infine notare che il vero reato non consisteva tanto nel prostituirsi o nel favorire la prostituzione, quanto piuttosto nell’ offendere la pubblica morale.
E’ peraltro noto che l’antico mestiere della meretrice veniva tollerato fin dal medioevo nei postriboli delle città. Ricordiamo che le case chiuse chiamate all’epoca lupanari erano legali, e per certi aspetti le prostitute erano persino tutelate dalla legge in quanto soggetti deboli e bisognosi di protezione.
E’ altrettanto vero che la vita di certe donne di malaffare non doveva essere facile, poiché su di loro pesavano come un macigno il giudizio e la condanna degli uomini di chiesa e ciò comportava inevitabilmente la loro emarginazione nell’ambito della comunità civile.
Sembra quasi che il reato più grave commesso da queste donne non fosse tanto il vendere il proprio corpo, quanto l’offendere i benpensanti e il profanare i luoghi sacri con la loro peccaminosa presenza.
Antonella Bazzoli – Giugno 2009
Riferimenti bibliografici:
Statuto del Comune del Popolo di Perugia del 1342 in volgare. Edizione critica a cura di Mahmoud Salem Elsheikh. Deputazione di Storia Patria per l’Umbria. Perugia 2000 (Art. 132.1 del libro IV)
Il Tempo delle donne Agenda medievale a cura di A.Antonelli e A.Bazzoli, Edimond 2010