In Umbria il culto di Iside
rilievo di Iside con un sistro nella mano destraUno scavo archeologico condotto in località Vittorina a Gubbio, nei primi anni ’80, sembra dimostrare la diffusione di culti orientali (in particolare di quello isiaco ) in questa zona impervia e montuosa del centro Italia, dove un tempo sorgeva l’antico centro umbro di Ikuvium, divenuto nel 82 a.C. municipio romano.
Il ritrovamento di due interessanti reperti archeologici, riconducibili alla tradizione egizia e al culto di Iside, sono la prova che nell’entroterra dell’appennino umbromarchigiano vi furono devoti e sacerdoti di Iside fin dal II secolo d.C..
All’interno del museo civico locale si possono ammirare i due reperti: un bronzetto raffigurante il dio bambino Arpocrate (Horus), e una testa scolpita nel marmo risalente al 300 d.C., identificabile con un sacerdote di Iside grazie alla croce distintiva che risulta incisa sopra la tempia destra, a riprodurre la cicatrice a forma di tau semitica che i sacerdoti isiaci erano soliti procurarsi per motivi rituali.
Come spesso purtroppo accade, vuoi per mancanza di fondi vuoi per mancanza di volontà, gli scavi archeologici, per quanto interessanti, non sempre conducono ad ulteriori ricerche.
Ed è davvero un peccato, perché uno scavo come quello effettuato in località Vittorina, a sudest dell’abitato di Gubbio, ha riportato alla luce una necropoli di età imperiale in cui erano stati sepolti sia schiavi che liberti, ed ha permesso di scoprire che tra queste classi sociali che frequentavano l’Ikuvium romana era praticato il culto per la dea egizia Iside.
Il primo aspetto interessante è che tutte le sepolture scoperte nella necropoli eugubina presentano lo stesso tipo di orientamento nordovest – sudest. Tutte, tranne una. La tomba classificata con il n. 117, databile tra il 112 e il 140 d.C., si differenzia infatti dalle altre perchè è l’unica ad essere orientata lungo la direttrice nordest – sudovest, cioè esattamente perpendicolare rispetto alle altre.
Al momento dell’apertura della tomba a fossa, giaceva supino al suo interno lo scheletro di una devota di Iside, forse una sacerdotessa della dea, che al momento della morte poteva avere tra i 35 e i 45 anni.
La testa della defunta era orientata verso nord-est e le sue braccia erano in posizione conserte.
Nella mano sinistra la defunta teneva un piccolo sistro bronzeo, antico strumento musicale ad uso rituale che troviamo spesso rappresentato tra gli attributi di Iside.
Accanto al sistro era visibile anche una strana macchia grigia all’altezza del ventre. Sempre al momento del ritrovamento, due unguentari di vetro erano collocati lungo il lato destro del corpo, vicino all’anca e accanto al ginocchio.
Nella tomba vennero trovati anche due recipienti per unguenti, un bicchiere, un chiodo di ferro e un sesterzio di Traiano, che ha consentito peraltro di datare la sepoltura all’epoca traianea permettendo così di ipotizzare che nel corso del II secolo il culto di Iside si era già diffuso da Roma al territorio eugubino.
La descrizione della tomba n. 117 rivela inoltre la presenza di interessanti tracce lasciate nel corso dell’ultimo rito funerario che fu riservato alla defunta: ai quattro angoli della sepoltura erano stati collocati quattro tymiatheria in ceramica, ovvero quattro incensieri ad uso rituale.
Considerando l’orientamento nordest – sudovest della tomba, è evidente che gli incensieri si trovavano esattamente in corrispondenza dei quattro punti cardinali.
Presso l’incensiere posto a nord della fossa c’era una lucerna a disco con tanto di bollo.
Mentre l’incensiere posto all’angolo sud era provvisto di un frammento di bacino fittile su un lato, fissato verosimilmente per proteggere la fiamma dal vento che forse durante il rito funerario soffiava proprio da quel versante.
Sorprendente è anche la presenza di alcune tracce di tessuto di lino nero, rinvenute al momento dello scavo in uno dei quattro incensieri. Analizzando il frammento di tessuto che si è conservato fino a noi, si è potuto notare che esso presenta ancora i resti di una cucitura servita ad unire due teli di lino nero.
Torna in mente la famosa descrizione della dea che Apuleio fa nell’episodio de L’Asino d’Oro, laddove Iside appare a Lucio sotto queste sembianze: “Indossava una tunica di bisso leggero, dal colore cangiante, che andava dal bianco splendente al giallo del fiore di croco, al rosso acceso delle rose, ma quello che soprattutto confondeva il mio sguardo era la sopravveste, nerissima, dai cupi riflessi, che girandole intorno alla vita le risaliva su per il fianco destro fino alla spalla sinistra e, di qui, stretta da un nodo, le ricadeva sul davanti in un ampio drappeggio ondeggiante, agli orli graziosamente guarnito di frange” (L’asino d’Oro, XI, 3).
L’autore descrive così il nerissimo mantello a frange della dea, caratterizzato tra i due seni dal cosiddetto nodo isiaco.
Questo simbolo, derivato da un antico amuleto egizio detto tjt, aveva una funzione magica che assicurava, a chi lo indossava, protezione sia in vita che durante il viaggio nell’aldilà.
Per creare il nodo isiaco si usavano gli angoli superiori di una stola, in modo tale da formare un cappio che doveva posizionarsi esattamente al centro del petto tra i due seni.
Forse il simbolismo di questo nodo, in ambito funerario, rappresentava come i legami allacciati su questa terra non si sarebbero potuti sciogliere neanche nella vita ultraterrena che attendeva il defunto.
Antonella Bazzoli – 5 agosto 2008 (aggiornato il 31 gennaio 2019)
Bibliografia di riferimento:
M.CIPOLLONE, Necropoli in località Vittorina a Gubbio in Notizie degli scavi di Antichità Serie IX vol.XI-XII 2000-2001