Il giardino dell’amore
Vengo da un castello lontano e sono arrivata fin qui per incontrare il monacus medicus che vive in questa abbazia. E’ lui la mia ultima speranza. Non mi rimane che affidarmi alle sue pozioni per salvare il mio matrimonio. Forse i suoi intrugli potranno guarire il mio sposo facendolo tornare a desiderarmi come una volta.
Pare che questo monaco conosca i segreti di ogni erba, fiore, albero e spezia. Lo incontrerò nell’ Orto di sotto, presso la vecchia peschiera, accanto al giardino monastico. Mi hanno detto che passa lì la maggior parte del tempo, prendendosi cura delle piante che crescono nel “giardino dei semplici”.
Dicono pure che il suo hortus sanitatis sia ricco di erbe rarissime che egli coltiva con le sue stesse mani, per poi raccoglierle e trasformarle in medicamenti miracolosi nella spezieria del monastero.
Mentre attraverso il giardino che conduce nell’Orto di sotto, mi sembra di penetrare in un luogo della fantasia.
L’atmosfera è quasi irreale e mi tornano in mente il giardino di Alcinoo che Omero descrisse nell’Odissea e i giardini di Babilonia, fatti costruire dal re Nabucodonosor per la sua sposa Amiti, per non farle rimpiangere la lussureggiante Media da cui proveniva…
Pairidaeza venivano chiamati in persiano quei mitici giardini, paradeisos in greco, pardes in ebraico, ed è così che nacque il termine paradiso. Lo stesso paradiso che i monaci nostalgici cercano di ricreare oggi nei loro monasteri.
E’ come se stessi camminando nell’ Eden in cui Dio collocò l’uomo e la donna che aveva plasmati. Ora mi trovo al centro del giardino, di fronte all’ albero della Vita. I monaci hanno scelto un bellissimo ulivo, simbolo di luce e di immortalità. Eccolo l’albero sacro fin dalla notte dei tempi, i suoi piccoli frutti alimentano, curano, illuminano, donano pace e bellezza. Non a caso la colomba che annunciò a Noè la fine del diluvio portava nel becco ramoscelli d’ulivo. E persino la dea Minerva scelse questa pianta sacra per farne dono agli uomini.
Faccio pochi passi e vedo davanti a me un grande fico con i rami carichi di frutti: è l’albero della conoscenza del bene e del male, sembra quasi indicare il passaggio dallo stato di grazia a quello di colpa. Adamo ed Eva ne colsero i frutti proibiti e provarono vergogna nello scoprirsi nudi, quindi si coprirono con foglie di fico.
Lo riconosco, si tratta di un ficus ruminalis! La stessa pianta che si trovava ai piedi del colle Palatino e tra le cui radici si impigliò la cesta con Romolo e Remo abbandonata nel Tevere. La stessa pianta dove la Lupa, scesa per abbeverarsi al fiume, vide i neonati e prese ad allattarli come se fossero i suoi cuccioli. Fu all’ombra di questo fico che i gemelli sopravvissero, diventando in seguito i fondatori di Roma.
Mi domando come mai un albero così sacro sia invece legato al peccato originale.
Ho sentito dire da una muliercula che il ruminalis è un fico femmina che produce frutti solo grazie all’impollinazione di un particolare insetto. La pianta che fa da maschio fornendo il polline è anch’essa un fico chiamato caprificus. Forse è per il liquido simile a latte che fuoriesce dai suoi frutti succosi che la pianta del fico è da sempre legata a misteriose leggende e persino ad inquietanti rituali. Come quello che si teneva in occasione delle nonae caprotinae, festività che nel calendario religioso di Roma antica cadevano nel mese di luglio, quando sotto il fico maschio veniva sacrificata una capra alla dea Giunone. Soltanto le donne potevano partecipare al rituale che si svolgeva all’ombra del caprificus, sia ancelle che donne libere, senza distinzione di rango. Ma l’epilogo della festa doveva essere davvero licenzioso se persino la muliercula abbassò lo sguardo e il tono della voce nel riferirmelo… Pare che gli indicibili atti osceni con cui si concludeva il rituale servissero a commemorare il gesto coraggioso di una serva di nome Tutola, la quale, concedendosi ai Latini con altre ancelle travestite da donne libere, era riuscita ad ingannare i nemici con le armi della seduzione e a salvare così Roma dalla distruzione.
Ora penso al mio sposo e ai profumi del nostro giardino: è molto diverso da qui, dove la natura parla per simboli. Da noi, al castello, il giardino è un luogo di svago in cui si gioca a palla, a scacchi, a volte a mosca cieca… Ricordo quando mi nascondevo nel labirinto e il mio sposo mi veniva a cercare, poi ci riposavamo all’ombra del melograno e il mio amato mi dedicava alcuni versi del Cantico dei Cantici.
Non resisto alla tentazione di quel ricordo, apro la Bibbia e comincio a leggere: “…le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano…” 1 Mi sembra di udire la voce del mio sposo ardente di passione.
Ma è un’altra voce che mi riporta alla realtà, quella di un uomo che nel frattempo si è avvicinato a me. Chiudo in fretta la Bibbia mentre il monacus medicus mi accoglie con le parole di Bernardo di Clairvaux : “Figliola, ricorda che troverai più nei boschi che nei libri, alberi e rocce ti insegneranno ciò che nessun maestro ti dirà”.
E’ un frate di piccola statura, dall’aria modesta e dal volto benevolo. Mi saluta come se mi conoscesse da sempre e mi invita a seguirlo nella spezieria. Alle pareti dell’ampio locale vedo file di vasi di varie forme e dimensioni, disposti con ordine e precisione sulle tavole di legno, quasi si trattasse di preziosi manoscritti conservati in una biblioteca.
Ma ciò che più mi colpisce è il profumo che invade l’ambiente, una miscela di odori penetranti che danno come risultante una fragranza che stordisce e che sa al tempo stesso di dolce e di amaro, di balsamico e pungente, di pulito e rinfrescante.
Il monaco fruga in un armadio e ne estrae un’ampolla di vetro: “Ecco il rimedio che tu mi domandasti. Un filtro d’amore che preparai seguendo la ricetta di un prezioso erbario. E’ fatto apposta per chi fosse innamorato, a base di foglie di herba belofilis2 … non appena il tuo sposo avrà bevuto la pozione, vedrai che t’amerà di nuovo”.
Mentre abbasso lo sguardo imbarazzata, il monaco mi consegna la pozione e con un tono austero, quasi minaccioso, aggiunge: “Ma ti avverto figliola, è peccato mortale adoperarla ed anche aver voglia d’adoperarla, fuori del vincolo del sacro matrimonio… E fa attenzione perchè non può dirsi cosa impossibile al demonio questa, giacché può infiammare interamente la concupiscenza e porre nello stomaco, mentre si dorme, cose che accendino l’appetito carnale, e porgere esteriormente mille incentivi di libidine togliendo il lume naturale”. 3
A quelle strane parole sento il volto avvampare dalla vergogna, e facendo il segno della croce chiedo umilmente: “Padre è forse cosa proibita dalla chiesa?” E il monaco, con mia grande sorpresa, risponde: “Questo genere di cose sono ancora proibite dalla chiesa… per tale ragione non discorrerne mai con alcuno”.4
La geometria di questo luogo è così rassicurante che non vorrei dover andare mai via. Persino l’alto muro di cinta che circonda l’hortus conclusus mi dà un senso di protezione e di pace.
Cammino nuovamente nel giardino paradisiaco, tra le aiuole e i vialetti coperti da pergole e ho la sensazione di essere in un “dentro” sicuro, ordinato e spirituale, lontano da quel “fuori” caotico e casuale che è la realtà mondana.
Attraverso un ponticello scavalcando quattro piccoli corsi d’acqua che simboleggiano i fiumi di biblica memoria: il Pison, il Ghison, il Tigri e l’Eufrate.Ora mi trovo all’ingresso del monastero, ma prima di uscire dal magico giardino di Eden mi volto indietro ancora una volta. C’è un albero di melagrane mature accanto ad una fonte d’acqua fresca. Mi sembra nuovamente di sentire la voce calda del mio sposo che mi dedica alcuni versi del Cantico dei Cantici. Ancora una volta non resisto alla tentazione, apro la Bibbia e riprendo la lettura: “…giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti… fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano…”.
1 Dall’Antico Testamento, Cantico dei Cantici 11, 15
2 Ricetta originale dall’Erbario della Marucelliana
3 vd. T. Garzoni da Bagnacavallo “La piazza universale di tutte le professioni del mondo” ed.1599
4 dal manoscritto C/168 della Biblioteca Marucelliana di Firenze
5 consiglio tratto da Scuola Medica di Salerno