L’abbazia di Sant’Eutizio e l’arte medievale della chirurgia

Siamo in Val Castoriana, nel borgo medievale di Preci, il cui nome in origine era Castrum Precum,  ovvero il castello delle preghiere. Qui,  tra le montagne dell’Appennino centrale che fanno da corona ad un paesaggio rurale di estrema bellezza, si trova l’ abbazia di Sant’Eutizio, la cui chiesa è stata purtroppo seriamente danneggiata  dal terremoto del 26 ottobre 2016.
Ancor peggio è andata alla vicina chiesa di San Salvatore, a Campi, che purtroppo è crollata in seguito allo stesso sisma. L’antico edificio medievale era già stato messo a dura prova dal precedente terremoto che aveva distrutto Amatrice il 24 agosto 2016, ma il terremoto di ottobre le ha dato il colpo finale.

Oggi voglio accompagnare i lettori di Evus in un breve viaggio a ritroso nel tempo, in questa valle che si apre tra le montagne di Foligno e Spoleto, con l’intento di contribuire alla valorizzazione turistica e culturale di un territorio in cui storia, natura, tradizione ed architettura si integrano perfettamente.

La vicenda della fondazione dell’ abbazia di Sant’Eutizio si perde nell’alto medioevo, in quei secoli che seguirono la caduta dell’impero romano, quando  in questo luogo impervio ed isolato si insediarono i primo monaci e asceti provenienti dalla Siria, che si rifugiarono in queste montagne e nelle loro grotte.
Dai Dialoghi di Gregorio Magno sappiamo che un eremita cieco, di nome Spes, fu il fondatore della prima comunità benedettina in Val Castoriana (Dialoghi, IV, XI, 1-3) . Si tramanda che dopo quaranta anni di cecità il monaco Spes abbia miracolosamente riacquistato la vista appena prima di morire, per predicare un’ultima volta nei monasteri da lui fondati in località Cample (l’odierna Campi, a 10 km da Norcia).

questa bellissima e antichissima chiesa purtroppo non esiste più a causa del terremoto del 26 ottobre 2016 che  ha fatto crollare l' edificio già danneggiato dal precedente terremoto dello scorso agosto (foto A.Bazzoli)
La chiesa di san Salvatore a Campi purtroppo non esiste più: il terremoto  ha fatto crollare l’ edificio (foto A.Bazzoli)

Successore di Spes fu  l’abate Eutizio, anche lui veneratissimo dagli abitanti di Norcia, come riferisce lo stesso Gregorio Magno.
A proposito dei miracoli post mortem di sant’Eutizio, si tramanda che nei periodi di siccità la tunica dell’abate, venerata come una reliquia, veniva portata in processione attraverso i campi riarsi poiché si credeva che avrebbe fatto tornare la pioggia salvando i raccolti (Dialoghi, III, XV, 2. 18-19).
Nei successivi secoli molti monaci si stabilirono nell’abbazia di Preci, seguendo il famoso motto benedettino: “ora et labora”, e occupandosi soprattutto dell’assistenza ai malati, come peraltro previsto dalla regola di san Benedetto.  Tra i doveri principali di un monaco vi era infatti quello di prendersi cura degli infermi: “infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est” era scritto nella regola.
La dedizione dei monaci verso i più bisognosi è testimoniata anche dalla costruzione del lebbrosario di San Lazzaro al Valloncello, che fu edificato a valle rispetto l’abbazia, lungo il fiume Nera.

ferri chirurgici usati medievaliNel corso del tardo medioevo, mentre la Badia continuava ad ingrandirsi dotandosi di vari ambienti (tra cui un oratorio, un alloggio per ospitare poveri e pellegrini, una farmacia, una  scuola di paleografia e miniatura, uno scriptorium e persino una biblioteca ricca di preziosi codici miniati!) i monaci di Sant’Eutizio divennero un importante punto di riferimento, non solo religioso ma anche economico e sociale, per gli abitanti di Preci, Norcia, Spoleto, Foligno e persino per quelli che risiedevano a Roma. Il  patrimonio fondiario della Badia continuò ad aumentare, fino a giungere alle rive dell’ Adriatico e  a comprendere persino le lontane città di Ascoli e di Teramo. Oltre a disporre di una salina sul mare Adriatico, l’abbazia si dotò anche di un porto alla foce del fiume Tronto, utilizzato per commerciare lungo le rotte del Mediterraneo.
Come gran parte delle abbazie medievali, quella di Sant’Eutizio divenne così un potente centro economico del tutto autosufficiente, specializzato in attività agricole, zootecniche e artigianali.
Ma la storia della Badia, così come la storia del vicino castello di Preci, si lega sopratutto ad un’arte particolare che qui cominciò a svilupparsi per poi diffondersi in tutta Europa: l’arte della chirurgia.
Furono infatti gli abitanti di Preci i primi chirurghi della nostra storia, specilizzati in interventi di litotomia, in operazioni di cateratta, in salassi e in castrazioni.

purtroppo questo rosone romanico non esiste più. Non sarebbe stato distrutto se parte del cimitero sovrastante non gli fosse piombato addosso in seguito al terreno che gli è franato addosso con il terremoto del 26 ottobre 2016
Purtroppo questo rosone romanico non esiste più. Non sarebbe crollato se non gli fosse piombata addosso una parte del cimitero sovrastante durante il terremoto del 26 ottobre 2016 (foto A.Bazzoli)

Nei castelli di Preci e di Norcia questi abili chirurghi, al tempo chiamati cerusici, si tramandavano il mestiere di padre in figlio, insieme allo strumentario di famiglia, formato dai ferri chirurgici del tradizionale armamentario ippocratico-galenico.
Sappiamo dai documenti che già tra il XIII e il XVI secolo i chirurghi empirici di Preci e di Norcia esercitavano la cosiddetta mezza chirurgia, ovvero la litotomia, l’erniotomia, l’intervento di cataratta ed il salasso. Erano tuttavia autorizzati a svolgere l’ attività di chirurgo solo coloro che erano in possesso di patenti ufficiali e di appositi diplomi.
Tra gli strumenti più usati dai cerusici preciani ricordiamo il cosiddetto ferro per infrangere la pietra, noto anche come tentacolo litotritore o frangitore, usato per estrarre i calcoli.


Nell’armamentario vi era anche un altro ferro, simile a un forcipe, chiamato alfonsino , che serviva sia a dilatare la ferita che a raccogliere i frammenti del calcolo, una volta estratto.
Per l’operazione di cateratta, invece, venivano utilizzati l’ onerino (uno strumento che serviva a divaricare le palpebre), l’ondina (usata per applicare colliri) e l’aco (necessario per la deposizione della cateratta).
Alcuni di questi antichi ferri chirurgici sono oggi conservati nel museo civico di Preci e anche in alcune teche dell’abbazia di Sant’Eutizio.
La fama dei chirurghi preciani divenne tale che essi cominciarono ad essere ingaggiati come medici di corte dai vari regnanti d’Europa.
Il chirurgo di fama Durante Scacchi, ad esempio, operò di cateratta nientemeno che la regina d’Inghilterra Elisabetta Tudor!
Orazio Cattani divenne addirittura medico di corte del sultano Mehemed, mentre il chirurgo Sigismondo Carocci rimase alla storia per aver operato a Vienna, nel 1468, la moglie di Federico III Eleonora Gonzaga.
Sappiamo anche che nel XVIII secolo il nursino (come veniva comunemente denominato il chirurgo proveniente dalla scuola preciana) era rinomato per i suoi interventi alle vie urinarie, che effettuava sia nell’ospedale romano di Santo Spirito sia in quello fiorentino di Santa Maria Nuova!

C’è chi ritiene che queste figure professionali di chirurghi oftalmici, litotomi e castrini, si siano potute affermare in Europa grazie alle conoscenze e all’esperienza tramandata in campo anatomico e veterinario dai cosiddetti norcini, ovvero dagli antichi abitanti di Norcia, da sempre famosi come allevatori di suini, e divenuti esperti nella castrazione e nella mattazione dei maiali.

Un’ultima curiosità riguarda i cosiddetti cerretani, da cui deriva il termine ciarlatani.
Non mancarono fin dal medioevo falsi medici e chirurghi improvvisati, come quei medici di piazza in arte ciarlatani che girovagavano di paese in paese vendendo unguenti e pozioni, spacciandoli per farmaci miracolosi.
Un mestiere nuovo e molto remunerativo cominciò a svilupparsi in questa valle dell’Appennino centrale, allorché il clero concesse agli abitanti di Cerreto di Spoleto (i Cerretani) di bussare di porta in porta per raccogliere la questua (l’ elemosina) che sarebbe andata a favore di alcuni ospedali.
Purtroppo la pratica della questua, seppur concessa per raccogliere denaro a scopo benefico, finì presto per facilitare il passaggio ad un mestiere tutt’altro che lodevole: quello del venditore di miracoli che, per ovvi motivi di lucro, tanti illustri ciarlatani cominciarono a praticare, girovagando in cerca di fortuna per l’Italia e per l’Europa, illustrando nelle piazze e nei mercati le proprietà medicamentose di intrugli vari, e spacciando tali pozioni come panacee per tutti i mali.

Antonella Bazzoli , 7 novembre 2013 – aggiornato il 1 giugno 2021