L’anziana sposa e il ciocco nel camino
Il ceppo nel camino e le dodici magiche notti
Un’antica usanza contadina, un tempo diffusa in tutta l’Europa ma oggi purtroppo quasi ovunque dimenticata, consisteva nel porre all’interno del camino un enorme ciocco di legno nel santo giorno del 25 dicembre. Veniva scelto il ceppo più grande, il più asciutto e il più duro, dal momento che il ceppo avrebbe dovuto bruciare molto lentamente, senza mai spegnersi, per scaldare tutto il nucleo familiare durante i dodici giorni che vanno dal Natale all’Epifania.
Si tratta di una tradizione rurale che serviva a segnare il passaggio dal vecchio al nuovo anno: i dodici magici giorni, illuminati dal focolare domestico, rappresentavano infatti i dodici mesi del nuovo ciclo annuale che da gennaio a dicembre avrebbe scaldato, nutrito e illuminato la terra producendo i suoi frutti, allegoria del sole, della sua luce e del suo calore, che al solstizio d’inverno ricomincia gradualmente a salire.
Sposi di Gennaio intenti a banchettare
Il grande ceppo natalizio era dunque un simbolo di fertilità, di energia e di vita, e per la sacralità che rivestiva fungeva da amuleto protettivo per tutto l’anno a venire. Osservando i rilievi medievali della Fontana Maggiore di Perugia, scolpiti nel bacino inferiore da Giovanni e Nicola Pisano, torna in mente quell’antica usanza contadina, laddove nelle prime due scene del ciclo dei mesi vediamo una coppia di sposi seduti a banchettare ai lati di un focolare che arde nel camino.
Il pasto che i due anziani coniugi stanno consumando è a base di carne, di pane e di vino; in alto a sinistra si vede il segno zodiacale dell’acquario: un uomo che versa dell’acqua da un otre, riempendo la grande coppa che l’uomo seduto tiene nella propria mano.
L’intera scena sembra rievocare tradizioni antiche che affondano le proprie radici in un mondo rurale di cui oggi resta solo qualche ricordo sbiadito…
Il personaggio maschile è identificato dalla scritta che sormonta la scena: Januarius , ovvero Gennaio in latino; il suo aspetto ricorda un Giano bifronte, il dio dai due volti, uno che guarda al passato ed uno rivolto al futuro.
La figura femminile che gli siede di fronte rappresenta ugualmente, a mio avviso, il critico passaggio dal vecchio al nuovo anno. La donna infatti non è più giovane e presenta un collo e un volto scarni e rugosi. Si tratta indubbiamente di un personaggio allegorico, poiché la sua età è in accordo con il periodo di transizione che va da dicembre a gennaio, che ben rappresenta il passaggio dalla morte del vecchio alla rinascita del nuovo.
L’anziana sposa regge in una mano una brocca di vino e nell’altra due focacce rotonde e schiacciate, che mi sembra di poter identificare nelle tipiche “torte al testo” perugine, simili a crescie o piadine cotte sulla brace, a base di sola acqua e farina.
Così come la natura riposa d’inverno, così come i semi sotto terra a gennaio e a febbraio attraverseranno una fase di morte apparente, anche la figura femminile di gennaio appare qui consumata dal tempo, quasi prossima alla morte, e tuttavia il suo ruolo di passaggio dal vecchio al nuovo la rende una figura allegorica feconda, generosa e portatrice di nuova vita.
La Befana e le Bonae Dominae
Come non pensare allora alla figura della Befana che secondo la tradizione il 6 di gennaio entrerebbe nelle case attraverso il camino?
Seppure per certi aspetti vicina all’archetipo di un’antica dea madre, simbolo di abbondanza e di fecondità, la figura folklorica della Befana ha finito per assumere l’aspetto di una vecchia dal volto magro e avvizzito nell’immaginario collettivo.
Proprio come la dama medievale di gennaio sulla Fontana Maggiore di Perugia, anche la Befana è una vecchia signora che dona la vita pur essendo ormai prossima alla morte.
Una figura che ben rappresenta la fase finale del naturale ciclo di “vita, morte e rinascita” il cui ritmo scandiva un tempo le attività agricole in accordo con il regolare moto dell’anno solare.
Quell’arzilla vecchietta, sporca di fuliggine e pronta a volare sui tetti per entrare nelle case attraverso i comignoli, sembra collegarsi anche a certe figure leggendarie di età medievale, identificabili con le cosiddette bonae dominae .
Chiamate altrimenti bonae mulieres, si trattava di spiriti femminili che si credeva visitassero le dimore private, in cerca di cibo e ristoro, durante il prodigioso intervallo di tempo che attraversa le dodici magiche notti.
Niente a che vedere con streghe o fantasmi, le bonae dominae si presentavano con buone intenzioni e arrivavano nelle case di notte, elargendo abbondanza e prosperità a chi vi abitava, per tutto l’anno a venire.
Alcune di esse avevano un nome, come nel caso di domina Abundantia, domina Satia e Dame Abonde (quest’ultima citata da Guillame de Lorris nel suo Roman de la rose).
Buone donne le chiamava invece Guglielmo d’Alvernia nel suo De universo.
Protobefane medievali, un po’ fate e un po’ benefattrici, identificabili con personaggi di fantasia descritti da alcuni autori del XIII secolo.
Stefano di Bourbon, ad esempio, raccontava nei suoi Exempla di un gruppo di astuti ladruncoli che travestiti da donna, erano riusciti ad entrare di notte in una dimora privata e a portarsi via ogni cosa del tutto indisturbati, fingendosi bonae dominae. Alla moglie spaventata dal baccano, il povero e ingenuo marito avrebbe raccomandato di restare in silenzio ad occhi chiusi nel letto, mentre i ladri portavano via tutto, tranquillizzandola con queste parole: “Saremo ricchi perché sono le bonae res e centuplicheranno le nostre sostanze”.
La Befana e le Bonae Dominae, proprio come l’anziana signora del mese di Gennaio sulla Fontana di Perugia, si ricollegherebbero dunque allo stesso archetipo di un’antica dea madre, simbolo della natura feconda che muore in inverno ma solo per rinascere in primavera.
Antonella Bazzoli – 27 dicembre 2010
Da leggere:
“Chi dice acqua, dice donna” articolo di A. Bazzoli, pubblicato su Medioevo, Anno XIII n.6 – giugno 2009, pagg. 88 – 95